mercoledì 31 dicembre 2014

La scienza nuova

Il 2014 sta per finire. Questo, per me, è stato un anno ricco di avvenimenti, la maggior parte dei quali positivi: ho conosciuto delle persone fantastiche, ho visto dal vivo due gruppi che amo molto e, finalmente, ho iniziato a lavorare! D'altra parte ho perso il mio amico a quattro zampe, evento che non riesco ancora a superare. Spero che per voi sia stato un grande anno e vi auguro che il 2015 sia anche migliore.
Concludo il 2014 con un libro non facilissimo, ma comunque importante e degno della massima attenzione: La scienza nuova di Giambattista Vico.

Partiamo da un'opera precedente, il De antiquissima italorum sapientia: qui Vico espone una teoria fondamentale, cioè quella del verum-factum. Per il filosofo napoletano la conoscenza di una cosa consiste nel farla, cioè noi possiamo conoscere soltanto ciò che facciamo o che costruiamo. Da questo punto si arriva al tema centrale de La scienza nuova: la storia, essendo fatta dall'uomo, è a tutti gli effetti una scienza, in quanto i fatti storici sono prodotti dagli uomini che conoscono perciò dall'interno gli eventi (“il mondo delle nazioni è pur certamente fatto dagli uomini”). Alla storia devono congiungersi la filologia e la filosofia: la prima conosce il particolare, il certo, mentre la seconda conosce l'universale, il vero. Praticamente la filologia riguarda lo studio delle lingue, dei costumi, dei commerci, delle guerre ecc., mentre la filosofia serve ad arrivare alle leggi universali che regolano e guidano il tutto, rendendo così la storia una scienza vera e propria.
Vico parla di tre età storiche alle quali corrispondono tre piani mentali dell'uomo. La storia delle nazioni parte da un'età degli dei a cui corrisponde il senso, dove gli uomini “sentono senza avvertire”; successivamente si ha l'età degli eroi, in cui prevale la fantasia, dove essi “avvertono con animo perturbato e commosso”; infine, c'è l'età degli uomini, dominata dalla ragione, in cui gli uomini “riflettono con mente pura”. Ad ognuna di queste epoche corrispondono delle particolari caratteristiche ed è interessante che per Vico i miti siano un'espressione naturale e spontanea della mentalità primitiva, distruggendo così quella visione che faceva di loro dei portatori di verità filosofiche. Anche il linguaggio nasce come esigenza poetica: la metafora non è un artificio retorico, ma è l'antenata dell'uso letterale della lingua. Da ciò si arriva ad affermare che la poesia precede la prosa e principe assoluto dell'uso metaforico della lingua è Omero. L'Iliade e l'Odissea contengono fatti veri, testimonianze autentiche della storia greca, anche se sono narrati in forma mitica. Per Vico, inoltre, Omero non è un personaggio realmente esistito, ma è un “carattere poetico”, perché i due poemi a lui attribuiti sono in realtà il frutto di una creazione collettiva svoltasi per secoli.
Ed eccoci giunti alla celebre teoria dei ricorsi. Vico parla del Medioevo come di una “nuova barbarie”; ciò significa che ci può essere un ritorno e una ripetizione di tempi storici già trascorsi, caratterizzati da un sistema giuridico duro e da pene crudeli. Questo “ritorno” è dovuto al corrompersi della ragione perché è un regresso e non esprime il naturale corso della storia.

Vico è un autore che spesso viene trattato sommariamente e questo è un enorme peccato. Nonostante alcune parti del suo discorso possano risultare “ingenue”, ciò non toglie che sia stato un grande pensatore e che le sue idee abbiano influito sul pensiero europeo. Le sue teorie sul linguaggio e sulla storia come scienza sono a dir poco meravigliose e fondamentali.

Colgo l'occasione per ringraziarvi di seguire il blog e per farvi gli auguri! Appuntamento all'anno prossimo con tante nuove recensioni! :)

venerdì 19 dicembre 2014

Pamela

Negli ultimi giorni, per la prima volta in vita mia, ho letto un intero libro in inglese: Pamela di Richardson. Sottolineo la cosa perché sono molto orgogliosa di me stessa, soprattutto perché non ho avuto nessuna difficoltà nel comprenderlo, cosa che pensavo impossibile. Invito anche voi quindi a leggerlo in lingua originale visto che, se ce l'ho fatta io, può farcela chiunque senza nessuna difficoltà!

Pamela è un romanzo epistolare, la cui protagonista, Pamela appunto, è la cameriera di una nobildonna; quest'ultima, in punto di morte, la affida al figlio, Mr B. Il giovane vuole corrompere la bella e innocente cameriera, ma lei si difende con tutte le sue forze, dimostrando una virtù fuori dal comune. Per non soccombere alle avance del padrone, chiede di poter tornare a casa dai suoi genitori, i quali considerano la virtù della figlia come il bene più prezioso che essa possiede. Mr B sembra accettare ma, invece che condurla dai suoi, la porta in una sua tenuta, dove la tiene rinchiusa come prigioniera sotto la supervisione di Mrs Jewkes. Pamela tenta di fuggire e chiede aiuto al giovane uomo di chiesa Mr Williams, il quale ha la brillante idea di chiederla in sposa. Mr B, ovviamente, non può tollerare una cosa simile e lo fa incarcerare, accusandolo di non aver saldato un debito con lui. La povera Pamela è disperata e tenta una fuga rocambolesca che però non ha un buon esito. Mr B comincia allora a ravvedersi e ad essere estasiato dal modo in cui la sua sottoposta difende con tenacia la sua virtù. Ed ecco l'incontro e la discussione nel giardino che cambiano le sorti di entrambi.

La storia narrata, nonostante sia un po' esasperante vista l'enorme mole di lettere che Pamela scrive ai suoi genitori, è scorrevole, anche se un po' inverosimile. Come al solito sottolineo che questa è una mia opinione e probabilmente sono io che sono pessimista nei confronti del genere umano, ma mi pare assurdo che una persona abbia tutta questa virtù e non ceda, prima o dopo, alle lusinghe di un uomo bello, giovane e ricco. Vorrei pure ricordare che Pamela ha quindici anni, un'età in cui non si è proprio saggi. D'altro canto, però, si può pure considerarla molto astuta visto che riesce a farsi sposare. Inoltre, tutti amano Pamela, sia i suoi colleghi (nessuna cameriera è invidiosa della sua fortuna!) sia i nobili conoscenti di Mr B e questa mi sembra un po' un'esagerazione.
Lasciando perdere le mie considerazioni, bisogna ammettere che è un romanzo scritto bene, avvincente e soprattutto è lodevole il lavoro fatto da Richardson nel dare ad ogni personaggio un tipo di linguaggio a lui particolare, a seconda della condizione sociale, delle mansioni ecc. Pamela, inoltre, è uno dei romanzi più famosi della letteratura inglese e spesso ne sono stati copiati la trama e i personaggi, sia in altre opere che in ambito cinematografico. Direi che è un'ottima lettura.

giovedì 11 dicembre 2014

La natura secondo i suoi principi

Oggi parliamo di uno degli autori più brillanti del '500, definito addirittura da Bacone come il “primo dei moderni”, ma purtroppo un po' dimenticato ai giorni nostri: Bernardino Telesio.

La natura secondo i suoi principi è il suo capolavoro, opera messa all'Indice nel 1593 e tornata in “libertà” solo nel 1900, estremamente critica verso le concezioni di Aristotele e dei peripatetici.
Già dal titolo l'autore spiega chiaramente il suo intento: la natura è retta da principi che sono ad essa interni e l'uomo può coglierli perché è lui stesso natura. La natura delle cose deve quindi essere colta attraverso i sensi, in modo da non cadere nell'errore di creare un modo fittizio.
I principi delle cose sono il caldo e il freddo che, lottando tra di loro in quanto sono nature agenti, danno vita al divenire. Essi sono incorporei ed eterni e cercano di occupare la materia. Da tutto questo derivano l'esistenza del vuoto e la concezione dello spazio come recipiente dei corpi. Il caldo ha la propria sede nel cielo, il quale è tenue, bianco, liquido e mobile, mentre il freddo ha la sua nella Terra, che è densa, nera, oscura e immobile (ricordiamoci che qui si pensa ancora che il cielo giri con moto circolare intorno alla Terra che resta ferma). I due principi hanno in comune il desiderio di conservarsi e l'odio verso la propria distruzione: da questi motivi Telesio arriva a dire che le cose, essendo costituite dal caldo e dal freddo, “sentono”, cioè percepiscono ciò che le favorisce e ciò che le danneggia e quindi possono seguire le prime e fuggire le seconde. Ciò non significa che le cose abbiano degli influssi che vengono dati loro da qualcosa di esterno, come i pianeti o Dio o altro, ma questo “sentire” è una cosa propria della natura, quindi non ha nulla di magico o soprannaturale, ma è solo una sua caratteristica intrinseca. Le azioni delle cose esterne giungono poi allo spirito, una sostanza tenue e mobile alla quale devono essere attribuite tutte le funzioni dell'organismo. Telesio dice che anche l'anima è spirito, e quindi corporea, e potete ben immaginare come la Chiesa abbia preso questa affermazione! Non a caso Telesio, nelle due edizioni successive, cambiò la sua teoria, affermando che ci sono due anime distinte, una di origine materiale e una di origine divina, ma questo sembra fatto più per calmare il clero che non per un cambio di idee convinto.

Telesio è stato davvero un grande pensatore che ha avuto il coraggio di distaccarsi dalla Chiesa e dalla riflessione magica della sua epoca e soprattutto da Aristotele, colui che per secoli è stato considerato il sommo pensatore che non si poteva confutare in alcun modo. Come molti anche Bernardino ha dovuto subire le angherie della Chiesa, ma non per questo si è perso d'animo, continuando per la sua strada, concedendo solo qualche piccolo contentino che però non è servito a “salvare” la sua opera dalle grinfie dell'Indice.
Vi consiglio davvero di leggere La natura secondo i suoi principi che, nonostante sia un'opera filosofica, è scorrevole, anche se in certe parti ci sono concezioni scientifiche del tutto errate, ma bisogna leggere con la mentalità del '500 e non con la saccenteria dei giorni nostri.

mercoledì 3 dicembre 2014

L'ultima spiaggia

Oggi vorrei proporvi un'opera molto allegra, caratteristica che si nota già dal titolo: L'ultima spiaggia.

Siamo nel 1963, epoca in cui l'umanità è condannata a scomparire. Pochi anni prima, infatti, nell'emisfero settentrionale era scoppiata una terribile guerra atomica, breve ma mortale; nel nord del mondo ormai sembra non esserci più anima viva, mentre in America Latina, in Africa meridionale e in Australia la popolazione attende la sua fine verso settembre, mese in cui arriveranno le radiazioni. E la nostra storia è ambientata proprio in Australia, dove si sta preparando una spedizione sul sottomarino americano “Scorpion” per capire se qualcuno è riuscito a scampare alla morte. Il sottomarino è comandato dallo statunitense Dwight Towers, affiancato dall'australiano Peter Holmes. Prima della partenza Holmes invita il suo superiore a casa sua, per presentargli la moglie Mary e la figlioletta Jennifer; per rendergli il soggiorno più spensierato e per fare in modo che i ricordi della sua casa e della sua famiglia non lo tormentino, gli affianca Moira, una ragazza dai modi molto diretti. Tra i due, piano piano, nascerà dell'affetto, anche se Dwight rimarrà attaccato costantemente al ricordo di sua moglie e dei suoi figli, nonostante si renda conto che la speranza di rivederli è ormai del tutto vana. Lo “Scorpion” parte per le sue ricerche con a bordo il dottor John Osborne, fisico incaricato di prelevare la quantità di radiazioni presenti nell'aria. Le esplorazioni sono due: la prima molto breve, mentre la seconda dura quasi un mese, spossando sia fisicamente che moralmente gli uomini. Al ritorno da quest'ultima le notizie sono agghiaccianti: nessuno è vivo nell'emisfero settentrionale e le radiazioni stanno per colpire anche gli ultimi paesi superstiti. Gli unici a sopravvivere per qualche tempo all'uomo saranno cani, topi e conigli. Nei pochi giorni che mancano alla morte certa, ognuno cerca di passare gli ultimi momenti come meglio può, mentre diarrea e vomito cominciano a colpire tutti. Nelle farmacie, però, vengono consegnate gratuitamente pillole e siringhe per rendere la morte veloce e indolore.

L'ultima spiaggia è un romanzo che non lascia mai spazio neppure alla più piccola speranza. Fin dall'inizio si sa come finirà la storia e se anche si accende una piccola fiammella che dice “le radiazioni non arriveranno”, subito viene spenta dai vari personaggi. Non resta altro che attendere la fine e scoprire come i protagonisti decideranno di morire. Le questioni che quest'opera di Shute solleva sono molteplici. Ad esempio si ha il tema del suicidio e dell'eutanasia: è giusto uccidersi e uccidere qualcun altro per farlo morire senza soffrire? Al riguardo c'è un interessante scambio di battute fra Holmes e la moglie. Altro quesito è: perché deve pagare gente innocente per le decisioni prese da quei pochi che hanno il potere? I protagonisti mostrano i loro punti di vista, ma le domande restano e ci portano a pensare seriamente a tutto questo, anche perché non sono cose così assurde, nel senso che una guerra lampo e di distruzione non è di certo fantascienza.
Ho trovato, però, piuttosto inverosimile il comportamento del popolo australiano: tutti sanno che devono morire, ma nonostante questo sono gentili l'un con l'altro e cercano di rispettare le leggi. Sarò io pessimista, ma se l'umanità stesse per scomparire credo che ci sarebbe il caos più completo e ognuno farebbe le cose peggiori senza troppi sensi di colpa. So che magari quest'ordine e quest'armonia sono frutto dell'epoca di stesura del romanzo e forse anche di pressioni dell'editore, ma comunque mi pare siano troppo distanti da una possibile verità.
L'utima spiaggia è un romanzo che vi consiglio assolutamente di leggere e sono sicura che non ne rimarrete delusi.

mercoledì 19 novembre 2014

Pietro Abelardo

Mi è capitata tra le mani una breve antologia di testi di Abelardo, importante pensatore medievale, conosciuto soprattutto per la sua tragica storia d'amore con Eloisa, rapporto famoso quanto quello di Tristano e Isotta o Giulietta e Romeo, solo che vero e con conseguenze devastanti.

I libri da cui sono presi i brani esposti sono tratti dalla Theologia Scholarium, dalla Theologia Summi Boni e dal Dialogus inter Philosophum, Judaeum et Christianum. Farò una breve sintesi, anche se vi invito a leggere le opere intere. So che il medioevo non è proprio il periodo più simpatico della filosofia, ma Abelardo ha sempre dimostrato una grande libertà di pensiero e la sua esposizione è piuttosto fluida.

Per Abelardo tre sono le cose con le quali si giunge alla salvezza: la fede, la speranza e la carità. La fede è il fondamento di tutti i beni; essa è un dono ed è la prova dell'esistenza di ciò che non vediamo. La speranza è l'attesa di qualcosa che è bene per noi conseguire, mentre la carità è il vero amore, quello che consiste nella volontà buona verso l'altro considerato in se stesso.
Già i filosofi pagani avevano parlato della Trinità, soprattutto i neoplatonici con l'importanza data al Nous (intelletto). L''Uno di Plotino diventa quindi Dio e da lui nasce il Nous, cioè la Sapienza di Dio, identificata con il Figlio; da esso, infine, nasce lo Spirito Santo, cioè l'anima mundi, che, degenerando, dà vita ai corpi materiali (concezione di Macrobio, autore al quale Abelardo si rifà spesso). Quindi lo Spirito Santo è anima, cioè vita, delle nostre anime; l'anima, facendo uso della ragione, ottiene la sua somiglianza con la sapienza divina. Dio è venuto incontro alla nostra ignoranza quando si è dato a noi nell'incarnazione del Figlio (che, ricordiamo, è la ragione).
Padre, Figlio e Spirito sono il Sommo Bene che si manifesta nella rivelazione: essi sono una sostanza unica ma hanno proprietà diverse. Spieghiamo meglio: ad esempio io, mia madre e mia sorella abbiamo nomi diversi e questo rappresenta la nostra proprietà, ma, allo stesso tempo, siamo tutte e tre donne, quindi nella sostanza siamo uguali; lo stesso discorso vale per la Trinità e, con questo argomento basato sul linguaggio, Abelardo tenta di porre termine all'interminabile disputa se la Trinità sia composta da sostanze distinte o se sia una. Dio indica la potenza di colui che può fare tutto ciò che vuole, il Figlio o Verbo è la sapienza con la quale può discernere tutte le cose e lo Spirito Santo è la carità, cioè l'amore con cui Dio vuole che tutte le cose siano costituite e disposte al meglio, in modo che ogni cosa possa svilupparsi nel miglior modo possibile.
Per parlare di Dio bisogna usare delle similitudini, perché il nostro linguaggio è limitato: Abelardo parla quindi del sigillo di bronzo. Il bronzo rappresenta Dio, il sigillo con il quale si può imprimere il segno è il Figlio, il sigillo nell'atto del sigillare è lo Spirito e, quando il sigillo imprime la sua forma, si ha l'atto della creazione.
Nella Pentecoste si compiono i doni della carità e della dottrina concesse da Dio agli uomini: solo esse hanno reso perfetti i discepoli. Grazie allo Spirito, Dio ci offre la grazia e infonde in noi la carità che è la madre di tutte le virtù, a cominciare da quelle cardinali (giustizia, prudenza, fortezza, temperanza); quindi, ciò che crediamo sia nostro merito in realtà è dono di Dio.
Per Abelardo non c'è opposizione tra fede e ragione perché i veri cristiani sono i veri filosofi, in quanto la loro ragione è in grado di cogliere la verità.
Dio, amandoci e rivelandosi gradualmente come nostro bene, ci spinge a riamarlo ed è questa la profonda dinamica della carità.

Come potete bene immaginare, Abelardo non ha vissuto una vita tranquilla a causa delle sue teorie. I teologi medievali, passatemi il termine, erano dei gran rompi coglioni e un minimo di libertà di pensiero che si discostasse dalla “vera dottrina” veniva subito malvista. Per fortuna gli intellettuali non si sono fatti scoraggiare da questo atteggiamento repressivo e molti autori hanno dato contributi profondi alla teologia e alla filosofia. Può sembrare una cosa noiosa approfondire queste cose, ma, che lo vogliamo o no, la nostra storia e il nostro pensiero derivano anche da tutto questo.

martedì 11 novembre 2014

Tre croci

Tozzi è in assoluto uno dei miei autori preferiti: secco, senza giri di parole, malinconico ma senza essere pesante.

Tre croci narra le vicende di tre fratelli, Giulio, Niccolò ed Enrico Gambi (Tozzi si è ispirato ad un fatto vero per il romanzo). I primi due sono proprietari di una libreria, mentre il terzo si occupa di una legatoria, ma senza impegnarsi troppo. Ad Enrico, infatti, non piace lavorare, ma si atteggia da signore anche se non lo è. Giulio è intelligente e appassionato del suo lavoro; Niccolò, invece, è un esperto di oggetti d'arte, all'apparenza scontroso ma in realtà simpatico, in quanto la gente apprezza il suo modo di scherzare e la sua risata contagiosa. Con i tre fratelli abitano Modesta, la moglie di Niccolò, e due nipoti, Chiarina e Lola. Gli affari dei Gambi, però, vanno molto male e da qualche tempo Giulio, d'accordo con gli altri due, ha trovato il modo per risollevarsi economicamente: falsificare alcune cambiali usando la firma del cavalier Nicchioli. Questi aveva già dato loro delle cambiali autentiche e quindi nessuno aveva mai sospettato di loro, fino a quando un impiegato troppo zelante della Banca non scopre l'inganno. La vita dei tre fratelli cambia drasticamente: i sensi di colpa, già provati in passato per l'azione disonesta compiuta ai danni del loro conoscente, sono ora insostenibili e tutti ormai voltano loro le spalle. Per non perdere tutto cercano di pensare in fretta ad un modo per risollevarsi, ma il destino non è dalla loro parte...

Tre croci è un romanzo intenso, dove la psicologia dei tre fratelli Gambi è ben approfondita, nonostante Tozzi non la descriva nel dettaglio, ma la faccia trapelare da brevi e serrati dialoghi e da piccoli gesti. L'asciuttezza dello stile può ricordare il verismo del Verga, mentre la riflessione psicologica sul peccato e il senso di colpa non può non richiamare Dostoevskij in tutta la sua grandezza. Posso solo dire che Tozzi è un gioiello della nostra letteratura che va riscoperto e amato.

martedì 4 novembre 2014

Via col vento

Anche questa recensione, come la precedente, tratta di un romanzo ambientato nel Sud degli Stati Uniti. Prima, però, devo fare una confessione: Via col vento è uno dei miei film preferiti. Dopo averlo visto innumerevoli volte ho finalmente trovato il libro di Margaret Mitchell, innamorandomene ancora di più. So che sembra strano, ma la storia e i personaggi sono di tutto rispetto e non è assolutamente scontato né banale. Vi consiglio fin d'ora di armarvi di pazienza e di leggerlo perché ne vale davvero la pena! Stesso consiglio sulla pazienza vale anche per il film vista la sua non indifferente durata!

Siamo in Georgia, nella piantagione di Tara, dove la bellissima Rossella O'Hara sta chiaccherando piacevolmente con i gemelli Tarleton. La giovane dagli occhi di gatto è la più corteggiata della contea e non vede l'ora di partecipare alla festa del giorno successivo alle Dodici Querce. Peccato però che l'attesa venga rovinata dalla notizia che il suo adorato Ashley (l'unico che non la vuole, ma solo in apparenza) si stia per sposare con l'insignificante Melania! Rossella non si dà per vinta e, durante la festa, gli confessa il suo amore. Ad assistere alla discussione fra i due c'è il capitano Rhett Butler, uomo affascinante, cinico e beffardo. Rossella, per ripicca verso Ashley, sposa Carlo, il fratello di Melania. I vari matrimoni vengono celebrati in tutta fretta perché il Sud sta per entrare in guerra contro gli Stati del nord. Il conflitto porterà morte e distruzione, toglierà il sistema della schiavitù e ucciderà Carlo. Rossella e Melania si trasferiscono ad Atlanta e, proprio durante l'assedio della città, Melania darà alla luce un bambino. Grazie all'aiuto di Rhett, le due giovani riescono a fuggire a Tara. La magnifica piantagione, però, non è più la stessa: Elena, la madre di Rossella, è morta e Gerald, suo padre, impazzito dal dolore, non è più il caparbio irlandese di un tempo. Rossella non demorde neanche questa volta, ma si rimbocca le maniche e lavora la terra, costringendo i vecchi servi neri rimasti e le sue sorelle ad aiutarla. Nel frattempo ritorna pure Ashley, ma non è di nessun aiuto perché totalmente incapace di fare il coltivatore. Rossella, per pagare le tasse esagerate imposte dagli yankee, decide di chiedere aiuto a Rhett, il quale si è arricchito durante la guerra in modo poco chiaro e poco pulito. Purtroppo però, non può esserle d'aiuto perché si trova in carcere, ma le vie del Signore sono infinite e Rossella, appena uscita dalla prigione, trova Franco Kennedy, lo spasimante di sua sorella. Con l'inganno, la bella e furba Miss O'Hara lo sposa e intraprende la carriera di commerciante. Anche Franco farà però una brutta fine. Ed ecco che finalmente Rhett le chiede di sposarlo! Sa benissimo che Rossella pensa ad Ashley, ma spera in un suo cambiamento.

Via col vento non è solo una storia d'amore, ma è anche uno scorcio di storia degli Stati Uniti, dalla guerra di Secessione a tutti i problemi che essa ha comportato, come la libertà degli schiavi, il governo poco pulito dei nordisti, la nascita del Ku Klux Klan ecc. E' vero che l'amore la fa da padrone, ma non è trattato come un sentimento banale, anzi. Ciò che Rossella prova verso Ashley è fondato su una visione costruita su di lui che non rispecchia la realtà; Ashley desidera Rossella solo per il suo corpo, mentre Rhett per la sua mente, mostrando in questo di essere davvero capace di amare, nonostante la sua aria di menefreghismo assoluto. I personaggi di Rossella e Melania sono diversissimi, ma entrambi splendidi: la prima è egoista, opportunista, pronta a tutto pur di far quattrini, mentre la seconda è dolce e comprensiva, ma forte e decisa quando serve. Rossella odia Melania, ma senza di lei non può stare perché, nonostante la sua fragilità, è proprio lei ad aiutarla in ogni momento della sua vita. Anche i personaggi maschili sono molto dissimili tra loro: Rhett è il bello e maledetto, il rinnegato, alla fine migliore di tutti gli altri; Ashley, invece, è un uomo inutile, incapace di stare al mondo.

Che dire, in questo romanzo c'è di tutto ed è davvero uno dei capolavori della letteratura americana (so che sono di parte, ma credetemi lo stesso)!

martedì 28 ottobre 2014

Lousiana

Ho trovato Louisiana su uno scaffale di libri da poter prendere liberamente e, incuriosita dal titolo che mi ricorda i gruppi metal a me più cari, ho deciso di leggerlo. Pensavo fosse un libro d'amore, una specie di Harmony con più pagine ma, come al solito, non avevo capito un cazzo.

Virginie Trégan, figlia di un piantatore di cotone francese, torna in Louisiana dopo aver conseguito gli studi a Parigi. Ad attenderla c'è Clarence Dandrige, intendente del marchese di Damvilliers, padrino di Virginie e signore di Bagatelle. La giovane dimostra fin da subito la sua scaltrezza, la sua forte volontà e la sua voglia di conquistarsi una posizione, qualità che mette in atto seducendo il marchese e sposandolo. La vita a Bagatelle è segnata dai ritmi della natura, scanditi dalla semina, dal raccolto e dalla sgranatura del cotone, l'”oro bianco” del Sud. Virginie diventa quattro volte madre ma, nonostante le ripetute gravidanze, non perde nulla della sua dignitosa bellezza. Il destino però comincia a dimostrarsi avverso e la morte si insinua nella tenuta. Virginie decide di risposarsi con un militare francese, dal quale ha un altro bambino, mentre il Sud è percorso dalle prime tensioni che porteranno alla guerra di Secessione. La bella protagonista, nonostante tutte le prove e le difficoltà che deve sopportare, ha sempre al suo fianco l'affascinante e riservato Dandrige.

Louisiana è ricco di personaggi interessanti e ben costruiti, che si stagliano benissimo all'interno delle vicende storiche che colpiscono il Sud. Infatti, Denuzière, intreccia nel romanzo fatti storici sulla formazione, lo sviluppo e la guerra di Secessione che colpiscono la Louisiana e tutti gli Stati sudisti. Insomma, anche se la trama del romanzo non fosse stata interessante, avrei comunque imparato nozioni fondamentali della storia americana. La figura di Virginie spicca per la sua forza, la sua determinazione e la sua intelligenza. Finalmente una donna sveglia!!! Molto interessante è la riflessione sulla schiavitù: gli stessi sudisti, uomini retti e d'onore, sono lacerati nel profondo da questo problema. Il marchese di Damvillers, durante il viaggio di nozze in Europa, afferma che i veri schiavi sono gli operai, costretti a lavorare al di sopra delle loro forze e, una volta salariati, abbandonati a loro stessi. Non è un pensiero banale.

Louisiana è scorrevole e, tra la storia americana e le varie riflessioni, spiccano le grandi passioni, anche quelle prettamente corporee che, nonostante vengano considerate più “vili”, ci appartengono e spesso sono proprio loro la causa principale delle nostre azioni.

martedì 21 ottobre 2014

Una vita

Se pensate che la sorte, Dio o chi altri ce l'abbia con voi, vi posso assicurare che dopo aver letto questo romanzo vi sentirete le persone più fortunate del mondo!

Jeanne, figlia unica di un barone e della sua malata consorte, esce dal collegio a diciassette anni e viene portata nella residenza dei “Pioppi”, in Normandia. Qui la giovane sogna il grande amore, incoraggiata dalla sua ingenuità e dal paesaggio ameno. Il curato, neanche a farlo apposta, le presenta un vicino, il bel Julien de Lamare; dopo tre mesi di fidanzamento, i due si sposano. Il loro viaggio di nozze in Corsica è colmo di passione ma, al loro ritorno, Jeanne scopre che il marito è irascibile e attaccato morbosamente al denaro. Una sera, la sua domestica e sorella di latte, Rosalie, si accascia al suolo partorendo un bambino, cosa che getta la casa in un certo trambusto. La vita comunque va avanti fino a quando Jeanne non scopre il marito e Rosalie nello stesso letto, rendendole (finalmente!) palese a chi sia da attribuire la paternità del neonato. Jeanne è sconvolta, cade malata e le viene detto che anche lei è incinta. Alla nascita di Paul, la neo mamma riversa tutto il suo affetto su di lui, in modo a dir poco morboso. Intanto il marito si trova un'altra amante, ma Jeane non se ne cura intenta com'è nell'allevare il suo piccino. Il nuovo tradimento di Julien, però, avrà un triste epilogo. Paul intanto cresce, va in collegio e si fa attrarre dalla vita dissoluta, fino ad unirsi con una prostituta...

Una vita è un romanzo eccezionale, veritiero e diretto, acuto nell'analizzare e nel mettere in risalto tutti i vizi che, anche se non lo vogliamo, ci appartengono. Il pessimismo di Maupassant verso il genere umano è lampante ed è questo che lo porta alla profonda indagine morale che pervade queste pagine. L'unica nota negativa è l'immagine della protagonista così patetica e debole: capisco l'ingenuità e le sofferenze, ma un minimo di reazione avrebbe pur potuto dimostrarla! So che chiudo spesso queste recensioni con le mie note di disappunto, ma è più forte di me, non riesco a sopportare i caratteri privi di qualsiasi dignità. La letteratura è piena di persone deboli e sofferenti, ma molte riescono comunque a farsi valere, anche mantenendo un atteggiamento di sottomissione alle loro passioni o verso gli altri. Questa Jeanne, però, è completamente cieca a qualsiasi chiaro segnale da parte del marito (e poi del figlio): dopo la prima esperienza negativa, credo che sia normale “svegliarsi”. Lasciando da parte i miei sfoghi, leggete Una vita, mi raccomando!

martedì 14 ottobre 2014

L'esorcista

Preparatevi a tremare di paura perché la “pillola” di oggi riguarda un classico dell'horror: L'esorcista di William Peter Blatty.
Sarò molto stringata nel raccontare la storia, in quanto credo che abbiate visto il film che, nonostante ometta diverse cose, segue comunque il romanzo nel suo sviluppo principale.

Chris è una nota attrice che si è da poco trasferita a Washington con la figlia Regan, i due domestici e la segretaria, per girare un film con il regista Dennings. La bambina, però, comincia a manifestare degli strani comportamenti e, una sera, Dennings viene trovato morto ai piedi delle scale sottostanti la casa dell'attrice. Chris comincia ad essere seriamente preoccupata e ad avere dei sospetti: decide perciò di portare la figlia da diversi psichiatri per risolvere il suo problema. I medici, ovviamente, tirano fuori un sacco di teorie che non riescono a spiegare un bel nulla. Intanto sul caso Dennigs indaga il tenente Kinderman, in un primo momento convinto che il colpevole dell'assassinio sia il domestico di Chris, ipotesi che ben presto abbandona. Il tenente interroga anche il gesuita Karras perché reputa che ci sia un collegamento tra il delitto e le profanazioni che avvengono nella chiesa della Santissima Trinità. Sul caso Regan, intanto, i medici continuano a dimostrasi impotenti e credono che sia bene tentare un esorcismo...

L'esorcista riesce a creare una tensione incredibile ed è dettagliato sia nell'esame medico che in quello “religioso” del comportamento di Regan. Il personaggio di Daniel Karras è costruito magistralmente: uomo forte, bello, tormentato dai sensi di colpa verso suo madre e dai tormenti spirituali riguardanti la sua fede. Mi sono piaciuti molto tutti gli interrogativi che il romanzo solleva su Dio e il Diavolo. Uniche note negative sono la stupidità di Chris, che non arriva mai a comprendere tutto e la mania che ha di divagare prima di giungere al punto della questione. Stesso modo di divagare ha Kinderman e davvero non riuscivo a leggere di questi due personaggi senza innervosirmi. Comunque L'esorcista è il libro giusto se volete farvela sotto!

martedì 7 ottobre 2014

Rudin

Chiedo scusa per la lunga assenza dal blog, ma è stato un periodo piuttosto denso di eventi, uno dei quali, in particolare, orribile. Il mio porcellino d'India è venuto a mancare e la perdita mi ha turbato parecchio. Nonostante la lunga malattia non si è mai lamentato, ma, anzi, era sempre contento e saltellante, pieno di voglia di vivere. Per di più era l'unico a farmi costantemente le feste e non dimenticherò mai nessuno dei momenti passati con lui. So che queste parole sono abbastanza banali e forse pure un po' patetiche, ma non me ne frega niente: gli volevo bene e questo è solo un modesto modo di ricordarlo.

Ora, però, sarà meglio passare all'argomento principale del blog e cioè la letteratura. Quest'oggi è la volta di un piccolo romanzo di un grande autore: Rudin di Ivan Sergeevic Turgenev.

Siamo in campagna, nella casa di Dar'ja Michajlovna, donna da tutti considerata intelligente e circondata da svariati vicini che l'aiutano a combattere la noia estiva. Nel suo salotto ci sono diversi habitué, come il vecchio e misogino Pigasov, il precettore Bosistov, il parassita Pandalevskij e i due fratelli Aleksandra Pavlovna e Volyncev. Una sera, ecco apparire Rudin che, grazie alla sua formidabile parlantina, riesce ad affascinare tutti i presenti. Il giorno dopo, Aleksandra Pavlovna viene a scoprire da Leznev, un possidente un po' stravagante, che Rudin era un suo ex compagno di studi e amico. La figura del nuovo arrivato comincia così a delinearsi: Rudin è un uomo dall'eloquenza eccezionale, capace di incantare i suoi ascoltatori ma, nello stesso tempo, è vuoto, in quanto non riesce a concretizzare nulla di ciò che dice. Infatti, il suo amore per Natal'ja, la figlia maggiore di Dar'ja Michajlovna, ne è una conferma. Il romanzo, dopo aver narrato i fatti avvenuti durante l'estate in campagna, fa dei salti temporali in cui Rudin compare in diversi momenti della sua vita.

Il personaggio di Rudin è estremamente complesso, anche se Turgenev non ne scandaglia a fondo la psiche come avrebbe fatto, per esempio, Dostoevskij. Rudin è intelligente, ma ancorato solo alle sue parole, incapace di agire e perciò condannato al fallimento. All'inizio del romanzo può risultare antipatico, ma la sua “limitatezza” porta il lettore a provare per lui compassione, lo stesso sentimento che colpisce anche Leznev, l'amico-nemico di Rudin. Nonostante non figuri tra i maggiori romanzi di Turgenev, Rudin è un ottima narrazione, scritta magistralmente e perciò bisognosa di essere rivalutata come merita.

giovedì 18 settembre 2014

La prigione

Un'altra pillola su un romanzo a noi contemporaneo: La prigione di John King.

Jimmy è un vagabondo che, non si sa con esattezza perché, finisce in prigione, nella terribile struttura delle Sette Torri, situata in un paese straniero non specificato. La vita qui è durissima, anche se viene un po' mitigata dalla conoscenza di Elvis, nel braccio C, e poi di Gesù nel duro braccio B, dove convivono assassini e tossici. Proprio qui compare la figura del Tontolone, un uomo muto intento a costruire una casa di fiammiferi. Nella prigione i detenuti sono stremati a causa del cattivo cibo e dei tormenti dati dai parassiti e, per svolgere le loro normali funzioni corporali, sono costretti ad entrare, attraverso una porta verde, nel “Safari”, cioè la latrina lurida e infestata dai ratti. Jimmy, per salvarsi, si attacca alle proprie memorie, anche se non saranno molto benefiche... Ed ecco che alla descrizione della vita in galera si allacciano i ricordi d'infanzia (resi nel testo con la mancanza di punteggiatura), da cui emergono stralci della sua storia: l'abbandono del padre, i rapporti con la nonna e la madre, Rosie/Ramona. Altro mezzo che ha per evadere è il sognare. Il direttore, dopo aver trasferito Jimmy nel terribile braccio B, decide di mandarlo a scontare il resto della sua pena in una fattoria correzionale, dove erano già stati trasferiti Elvis e Gesù. Qui, però, per abbreviare la propria pena, si è costretti a praticare un lavoro disumano: Jimmy si rende così conto dell'ipocrisia dei suoi amici e si ribella, tornando di nuovo alle Sette Torri, ma con la coscienza a posto e con la sicurezza che, quando verrà rilasciato, uscirà a testa alta, senza aver ceduto ad ignobili compromessi.

La storia de La prigione è piuttosto complessa e allucinata, dando un senso di confusione che solo a poco a poco si dipana. Ogni tanto, secondo me, certe espressioni o richiami tendono ad essere banali e fuori luogo, ma non tolgono nulla alla durezza della storia. Non è di certo un capolavoro, ma è comunque un ottimo ritratto, anche se esagerato nei luoghi e nelle situazioni, del marcio presente nel mondo.

domenica 14 settembre 2014

Qualcuno volò sul nido del cuculo

Qualcuno volò sul nido del cuculo: so che sembra strano leggere un titolo così recente tra queste “pillole”, ma, che lo crediate o no, pure io leggo libri “contemporanei”. Tra l'altro avevo visto precedentemente il film e sono rimasta piacevolmente sorpresa che il regista abbia riportato il romanzo sullo schermo tale e quale.

Bromden, il pellerossa narratore dei fatti, vive ormai da anni in manicomio, ed è considerato da tutti muto e sordo, cosa non vera ma che lui non smentisce. Lui e tutti gli altri pazienti sono sottomessi alla terribile Miss Ratched, la Grande Infermiera, una donna sadica, dura come pietra. L'esistenza nella corsia procede seguendo un ferreo regolamento che non permette quasi nulla, facendo sentire i degenti dei “conigli” incapaci di agire e di pensare. Bromden sa che la colpa di tutto questo non è solo della Grande Infermiera, ma della Cricca di cui fa parte e che sta alle sue spalle, cioè della società dei consumi, della tecnica e della prepotenza che ha distrutto anche suo padre e la sua tribù. Ma ecco che un bel giorno arriva un nuovo paziente, un muscoloso, tatuato e rosso irlandese trasferito lì da una fattoria correzionale, dopo essere stato “preso” per gioco d'azzardo e rissa. La vita nella corsia cambia rapidamente perché il nuovo arrivato, Randle Patrick McMurphy, porta finalmente la vita, esprimendola all'inizio con vere risate (cosa che i degenti non sanno più fare) e poi battendosi contro Miss Ratched , cioè contro il conformismo e la crudeltà celata sotto la maschera ipocrita della pietà. Bromden, nonostante le esitazioni iniziali, seguirà McMurphy nella sua lotta contro il sistema...

Qualcuno volò sul nido del cuculo è un capolavoro, un grido disperato di rivendicazione della propria libertà da parte di coloro che la società ritiene inadatti a tutto. La storia è raccontata da Bromden, mischiata con i suoi ricordi d'infanzia e con le sue allucinazioni, rendendo così più potente la sua disperata accusa contro una società malvagia mossa da meccanismi volti a distruggere chiunque vi si opponga. Insomma, svegliamoci per non essere vittime di lobotomie atte a toglierci quel po' di ragione che ci permette di pensare e di essere noi stessi!

venerdì 5 settembre 2014

L'illustre casata Ramires

Goncalo Mendes Ramires, insieme alla sorella Grazia, è l'ultimo discendente di una delle più antiche famiglie del Portogallo. È un giovane gentile, altruista, ma anche facilmente manipolabile. Dopo aver terminato gli studi a Coimbra torna nel suo antico castello (non per niente è chiamato il Signore della Torre) dai suoi fedeli servi e amici. Goncalo ha un'anima poetica e infatti comincia a scrivere la storia del suo antenato Tructesindo Ramires e della sua terribile battaglia contro il Bastardo di Baiao. Alla morte del deputato di Vila Clara, il vecchio Sanches Lucena, Goncalo si fa irretire dal sindaco Gouveia, il quale gli consiglia di prendere il posto del defunto, passando al partito opposto e facendo la pace con il potente Cavaleiro. Dopo un attimo di esitazione, il Signore della Torre trova tutte le giustificazioni possibili per seguire il consiglio dell'amico. Infatti, finirà col piegarsi di fronte a Cavaleiro, grande amico d'infanzia, poi odiato a causa del suo mancato matrimonio con l'adorata sorella Grazia. Goncalo, però, non rimarrà sottomesso agli altri per sempre...

Che dire, L'illustre casata Ramires è davvero un signor romanzo! De Queiroz è stato un maestro nel costruire l'indolente personaggio di Goncalo, uomo pieno di contraddizioni ma dall'animo nobile, e per questo davvero umano. I continui passaggi dalla storia del Signore della Torre a quella da lui scritta sul suo antenato Tructesindo, si compenetrano alla perfezione, rendendo il romanzo più ricco e complesso.

Di letteratura portoghese non me ne intendo per nulla e l'aver scoperto De Queiroz mi ha reso davvero contenta. All'inizio del romanzo, devo ammettere, ho provato un po' di noia perché non riuscivo ad entrate nella storia, ma, continuando a leggere, mi sono ricreduta. Il mio masochismo nel portare a termine qualsiasi libro si è rivelato un'arma efficace! Spero che anche voi apprezziate questo autore, forse lasciato un po' in disparte.

lunedì 1 settembre 2014

Le relazioni pericolose

Le relazioni pericolose è un romanzo epistolare di P.-A.-F. Chordelos de Laclos.

Siamo nel '700, secolo in cui il libertinaggio la fa da padrone. Il visconte di Valmont, cinico e seduttore, viene contattato da una sua ex amante, la marchesa di Merteuil, donna dall'intelligenza lucida e perversa. La marchesa è arrabbiatissima perché un suo amante sta per sposare la quindicenne Cécile de Volanges e, con l'aiuto di Valmont, progetta la sua terribile vendetta. Della giovane, però, si innamora il cavalier Danceny: il visconte non perde tempo e, fingendosi amico e intermediario dei due, riesce a sedurre Cécile, mentre la marchesa la istruisce su come comportarsi. Nel frattempo, Valmont cerca in tutti i modi di far cadere ai suoi piedi Madame de Touveil (sposa poco più che ventenne di un uomo che non compare mai nel romanzo) donna virtuosa, inaccessibile e ammirata pure dai libertini: insomma, un ottimo trofeo! Tutte queste vendette e seduzioni, come si può ben immaginare, non porteranno a nulla di buono e, infatti, la punizione ricadrà su tutti, nessuno escluso.

Nonostante il romanzo sia stato scritto per combattere la noia della vita militare di guarnigione, Le relazioni pericolose è un vero gioiello della letteratura francese ed epistolare in particolare (non a caso Chordelos de Laclos amava immensamente Rousseau, soprattutto la Nuova Eloisa). A tratti, come ad esempio nelle descrizioni dei due personaggi principali, mi sono venuti in mente anche i protagonisti dei romanzi del Marchese de Sade, sia per il loro comportamento subdolo, sia per il loro desiderio di portare alla perdizione e/o rovinare coloro che hanno vicino. Insomma, i libertini di questi due scrittori (tra l'altro contemporanei) erano dei veri pezzi di merda (scusate la volgarità, ma non esiste un altro modo per definirli)!

Le relazioni pericolose è un ottimo romanzo che si legge tutto d'un fiato, grazie anche al cambio di registro usato nelle diverse lettere a seconda del mittente e del destinatario. Da avere!


domenica 24 agosto 2014

Il campo del dolore

Il campo del dolore è un racconto di Karen Blixen presente nella raccolta Racconti d'Inverno del 1942.

Adam, appresa la notizia della morte del cugino e del conseguente matrimonio dello zio con la giovane promessa sposa del defunto, parte dall'Inghilterra per tornare nella sua Danimarca. Durante una camminata nei loro possedimenti, Adam si accorge che lo zio è intento a fissare un campo di segale dirimpetto a loro: il vecchio, allora, gli racconta che qualche tempo prima era stato incendiato un suo appezzamento di terreno e dell'accaduto fu accusato Goske Piil, il quale venne subito imprigionato. La madre del presunto colpevole andò a chiedergli grazia e lui le assicurò di liberare il figlio a patto che lei riuscisse a mietere da sola, in un giorno, quello stesso campo di segale che ora hanno davanti a loro. La donna, ovviamente, accettò.

Appena iniziato il racconto ho subito pensato che Adam e la giovane sposa dello zio diventassero amanti. Non mi sono mai sbagliata tanto: questo breve testo è molto più profondo di quanto può sembrare. Di grande interesse è la discussione iniziale tra Adam e lo zio, il cui tema verte sulle diversità tra gli dei dell'Olimpo e di quelli nordici. Adam è a favore di questi ultimi perché li reputa virtuosi e, in un certo senso cavallereschi. Lo zio, però, afferma che gli dei greci sono nettamente superiori: gli Asi devono affrontare il male e il dolore, trovandosi così a confronto con entità potenti quanto loro, mentre gli dei mediterranei, essendo onnipotenti, hanno preso sulle loro spalle il dolore dell'universo. Altro tema chiave è quello del sacrificio della madre verso il proprio figlio: una donna forte, pronta a tutto pur di salvare la sua prole. Il sacrificio per amore è qui ammirato e compianto. Adam cerca di convincere lo zio a ritirare la sua parola, ma il vecchio si oppone: ritirare ciò che è stato deciso sarebbe umiliante per la donna. Dopo questo scambio di battute, Adam comprende che il suo posto è lì e che, anche lui, deve accettare il proprio destino.

Il campo del dolore vale un'ora del vostro tempo, quindi non esitate a procurarvene il testo!

venerdì 22 agosto 2014

Racconti crudeli

Racconti crudeli è una raccolta di racconti pubblicati su varie testate dello scrittore francese Villiers de l'Isle-Adam.

L'autore scaglia in questi brevi testi un feroce attacco contro il progresso, come ad esempio nel racconto La pubblicità celeste, dove il dottor Grave ha trovato il modo di utilizzare il cielo come schermo pubblicitario, o in L'apparecchio per l'analisi chimica dell'ultimo respiro, dove una macchina è in grado di capire dal respiro quanto manca ad una persona per morire, in modo da preparare i famigliari a non dover poi piangere per il defunto. Da qui anche l'attacco alla borghesia, dove anche i rapporti d'amore si basano sul denaro, come ad esempio in Virginie e Paul. Le signorine Bienfilatre sono l'immagine dell'ipocrisia di questa classe sociale corrotta, in cui due sorelle sono apprezzate perché guadagnano e mantengono la loro famiglia prostituendosi; quando uno delle due, però, si innamora e si dà gratuitamente, verso di lei si scagliano i genitori, indignati per l'aver abbandonato il suo “onesto” lavoro. Ne Il desiderio di essere un uomo, l'attore Chaudval, rendendosi conto di aver sempre recitato per tutta la vita, decide di “provare” davvero qualcosa: il rimorso. Ed ecco che incendia un intero quartiere, uccidendo diverse persone e riducendone altre in miseria. Peccato però che il rimorso non arrivi... In Fosco il racconto, ancora più fosco il narratore, un altro uomo di teatro, mentre assiste alla morte del suo amico dopo un duello, non si accorge d'altro che dell'“interpretazione realistica” dell'esalazione del suo ultimo respiro. Di diverso carattere sono altri racconti, come ad esempio Véra, in cui un uomo perde la giovane moglie, ma continua a vederla in vita fino al momento di un amplesso, o Duke of Portland, dove un nobiluomo, per una bravata, diventa l'ultimo lebbroso del mondo...

Racconti crudeli è un concentrato di piccoli capolavori che spaziano dall'orrido, al filosofico, alle critiche serrate contro una società marcia fino al midollo. Villiers de l'Isle-Adam è un autore oggi forse poco conosciuto, ma che fu lodato da illustri autori della sua epoca, come Mallarmé, Yeats e Verlaine (che gli dedicò un capitolo nella sua celebre opera Les poétes maudits).

Questa è una di quelle opere che vanno assolutamente riscoperte e amate.

lunedì 18 agosto 2014

Gli Acarnesi / Le Nuvole / Le Vespe / Gli Uccelli

Aristofane è stato il più importante commediografo greco. Al centro delle sue opere si trova la critica verso alcuni personaggi illustri dell'Atene del suo tempo (non dimentichiamo che visse ed operò durante la guerra del Peloponneso), come uomini politici e filosofi, in particolare i sofisti (tra cui inserisce la figura di Socrate).

Gli Acarnesi è la storia di Diceopoli che, accortosi dell'uso che i demagoghi e altri potenti personaggi fanno a loro vantaggio della guerra, decide di fare una sua pace individuale con Sparta. Egli pronuncia così un discorso a favore degli acerrimi nemici di Atene, in cui risalta tutto il coraggio di Aristofane nel prendere una simile posizione. Grazie a questa pace, Diceopoli può commerciare con un Megarese e un Beota, entrando in possesso di beni che gli altri non possono permettersi visti i divieti di scambio con gli avversari. Bellissima la scena in cui il protagonista dà a uno dei due uomini l'unica merce che davvero abbonda in Atene: un sicofante, cioè una spia! Di idee totalmente diverse da Diceopoli è Lamaco, uno dei più importante generali ateniesi, che ha come ragione di vita la guerra per la guerra.

Le Nuvole mette in scena il problema dell'educazione. Strepsiade è un uomo sommerso dai debiti a causa del figlio Fidippide, il quale sta dilapidando il patrimonio per la sua fissazione per i cavalli. Il genitore, per cercare di allontanare i debitori, va da Socrate per farsi istruire nell'arte del discorso; il pover'uomo, però, è troppo stupido e quindi cerca di convincere il figlio ad entrare nella scuola al suo posto. Fidippide cede, ma non userà le tecniche apprese come avrebbe voluto il vecchio padre...

Le Vespe è una commedia scritta contro il sistema giudiziario. Filocleone vive per il tribunale e la sua è una vera e propria monomania; il figlio Bdelicleone (da notare che entrambi i nomi contengono “Cleone”, uno degli uomini più odiati da Aristofane) decide di rinchiuderlo in casa per “curarlo”. Le vespe, cioè il coro composto dai colleghi di Filocleone, giungono a chiamare il vecchio per portarlo a giudicare con loro: Bdelicleone declama allora un discorso in cui afferma che non sono i giudici ad avere potere, ma che anzi sono i servi di gente più potente, che li controlla con mazzette e favori vari. Per calmare il padre, Bdelicleone gli costruisce un tribunale casalingo e cerca di istruirlo sul come comportarsi in pubblico. Il ruolo padre-figlio comincia così ad invertirsi.

Ne Gli Uccelli Pistetero e Evelpide lasciano Atene per ricercare una città ideale dove poter vivere. Grazie a due uccelli arrivano nel luogo dove vive Tereo (il marito di Procne che, innamoratosi della cognata Filomela la stuprò e le tagliò la lingua; la donna, però, riuscì comunque a farlo sapere a Procne che, per vendicarsi, diede come cibo a Tereo il figlio Iti; Tereo fu perciò trasformato in upupa, Procne in usignolo e Filomela in rondine) il quale riesce a convincere i suoi simili ad ascoltare i due uomini. La città degli uccelli, Nubicuculia, comincia così ad essere costruita; i due ateniesi, però, devono vedersela con personaggi e dei del vecchio mondo.

Queste commedie di Aristofane sono capolavori assoluti nel loro genere, veri attacchi al sistema, ancora attuali nonostante i tanti secoli che ci separano dalla loro stesura. Ovviamente da leggere e ammirare!

martedì 12 agosto 2014

Notre Dame de Paris

Vorrei cominciare questo post chiedendo scusa per la mia lunga assenza, ma (dopo non so più quanti anni) sono finalmente andata in vacanza. Meta del mio viaggio è stata Parigi. Ad essere sincera me ne ero fatta un'idea più “romantica”, basata soprattutto sui libri da me letti, ma mi è comunque piaciuta e ho visto delle opere d'arte eccezionali.

Per rimanere in ambito parigino ho deciso di parlare di uno dei maggiori romanzi di Victor Hugo: Notre Dame de Paris.
Già dal titolo si capisce perfettamente che la vera protagonista dell'opera è proprio l'imponente e maestosa cattedrale gotica, al cui interno abitano il deforme Quasimodo e l'arcidiacono Claude Frollo. Entrambi sono personaggi dotati di una forte pulsione sessuale, nel primo sottolineata dal suo rapporto quasi fisico con la cattedrale, mentre il secondo tenta di reprimerla attraverso la religione. La visione di Esmeralda sconvolge totalmente la mente di Frollo che, per gelosia, ferisce mortalmente Febo di Chateapers, giovane da lei amato, accusandola poi del fatto.
Oltre a questi personaggi, davanti al lettore si presenta tutta la città di Parigi con i suoi quartieri e i suoi abitanti, dai ricchi e frivoli nobili, ai poveri, agli storpi, ai ladri e a tutti coloro che vivono e agiscono nell'ombra. La trama del romanzo diventa così complessa, inserendo diverse storie all'interno di quella principale.

Notre Dame de Paris è un manifesto della narrativa romantica, un affresco variopinto della Parigi medievale. Nonostante la sua bellezza devo ammettere, però, di essere rimasta molto male dalla sua lettura. Mi spiego: da piccola, come credo molti di voi, ho visto il cartone animato della Disney preso proprio da quest'opera. Crescendo ho imparato a diffidare dall'animazione, ma lì la trama è stata davvero stravolta da tantissimi buoni sentimenti che nel libro non sono neanche lontanamente presenti. Aspettandomi amore, amicizia e altri buoni sentimenti, mi sono ritrovata a leggere di egoismo, morte e orrore. Povera me e povera la mia ingenuità...

domenica 27 luglio 2014

Trattato sulla Tolleranza

Voltaire era un genio, su questo non si può discutere. Fautore del pluralismo, della libertà, della tolleranza, nonostante non abbia mai formulato una vera e propria teoria filosofica, è riuscito comunque a diventare uno dei più importanti pensatori di sempre.

Il breve Trattato sulla Tolleranza uscì nel 1763. Voltaire lo scrisse dopo un episodio di violenza inaudita: il 13 ottobre 1761 il giovane Marc-Antoine Calas venne trovato morto; dell'omicidio (in realtà suicidio) vennero incolpati il padre, la madre, il fratello e un amico di famiglia. Il movente del delitto sarebbe stato il desiderio di Marc-Antoine di convertirsi al cattolicesimo, cosa che il padre ugonotto non poteva tollerare. Dopo un processo sommario, i giudici di Tolosa condannarono il vecchio Jean Calas alla pena capitale, mentre i suoi complici vennero espulsi dalla città e privati di tutti i loro beni.

Voltaire inizia il suo trattato mostrando l'infondatezza e l'assurdità delle poche accuse mosse contro i famigliari della vittima, per poi passare a una serrata accusa contro il fanatismo religioso. Innanzitutto, l'autore porta vari esempi di tolleranza religiosa in diversi Stati e tra diversi popoli dell'antichità; arriva così a sostenere che è necessaria l'istituzione di uno Stato laico in cui la sfera religiosa appartenga solo alla sfera privata e che ponga fine ai conflitti religiosi grazie a delle leggi che propugnino il rispetto e la tolleranza. Voltaire, inoltre, sottolinea che il cristianesimo a lui contemporaneo è completamente diverso da quello insegnato da Gesù, in quanto non più basato sull'amore ma sull'intolleranza. Interessantissima la sua visione della storia: per Voltaire essa è una serie di violenze e menzogne dovute alla superstizione e al fanatismo religioso (tecnica questa del revisionismo storico usata anche in epoche recenti, come dal nazionalismo ottocentesco o dai regimi totalitari nel Novecento). Il trattato si chiude con una preghiera a Dio, in cui Voltaire Gli chiede di illuminare coloro che hanno peccato contro di Lui servendosi del Suo nome per uccidere chiunque Lo ami in modo diverso dal suo.

Il Trattato sulla Tolleranza è un'opera da prendere come esempio per capire che non esiste un'unica verità, ma che bisogna essere intellettualmente aperti, così da essere tolleranti verso chi ha un'altra visione delle cose. Ancora oggi i conflitti religiosi lacerano il mondo e l'intolleranza colpisce molte categorie di persone, come gli stranieri, gli omosessuali ecc. La ragione umana dovrebbe aver raggiunto già da tempo un alto livello di sviluppo, ma a quanto pare non è così e spesso si adottano atteggiamenti da inquisitore medioevale. Non ho altro da aggiungere che queste poche parole: leggete questo testo e meditate.

...siamo abbastanza religiosi per odiare e perseguitare, ma non abbastanza per amare e soccorrere.”

...le tigri non sbranano che per mangiare, mentre noi ci siamo sterminati per dei paragrafi.”

...bisogna considerare tutti gli uomini come nostri fratelli.”

mercoledì 23 luglio 2014

Notturno

Il libro di cui vado a parlare quest'oggi è Notturno di D'Annunzio.

L'opera raccoglie le memorie della sua lunga convalescenza in ospedale in seguito ad un incidente di volo che gli ha danneggiato un occhio, costringendolo alla più totale immobilità. La voglia di scrivere, però, era troppa e l'autore annotava i suoi pensieri

sopra una stretta lista di carta che contiene una riga. Ho tra le dita un lapis scorrevole. Il pollice e il medio della mano destra, poggiati su gli orli della lista, la fanno scorrere via via che la parola è scritta. Sento con l'ultima falange del mignolo destro l'orlo di sotto e me ne servo come d'una guida per conservare la dirittura.”

Notturno è diviso in tre parti chiamate “offerte”. Nella prima il nucleo centrale è quello della morte e in particolare dei funerali del suo amico e compagno di volo Giuseppe Miraglia. Nella seconda si passa ai ricordi di guerra, mentre nella terza si parla del presente e della possibilità di tornare alla “luce”. Notturno si chiude con un'Annotazione, nella quale vengono ripercorse le modalità di composizione dell'opera.

Questo è uno dei libri più brutti che io abbia mai letto. Le nuove tecniche di scrittura apportate da D'Annunzio, come le frasi brevi in cui va a capo ad ogni punto, mi innervosiscono molto. Trovo il tutto pieno di vuota retorica e le immagini più “poetiche” stonano nel contesto di ciò di cui sta parlando e le trovo, inoltre, poco adatte alla prosa. Il fatto che sia sempre lui il “protagonista” mi urta: quando, ad esempio, racconta dei funerali dell'amico Miraglia o mentre ricorda la madre, D'Annunzio porta tutta l'attenzione su di sé, svalutando ciò che lo circonda se non in relazione a ciò che LUI prova, a ciò che LUI fa ecc. Al centro di tutto c'è sempre e solo Gabriele con le sue sensazioni, i suoi sentimenti e i suoi gesti più forti, più sentiti e più importanti di tutto il resto. A differenza delle altre opere di D'Annunzio da me lette, qui il suo egocentrismo tocca livelli assurdi. Per non parlare di tutta quella solfa di esaltazione della patria...

Comunque sia, questo è il mio pensiero e sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate voi. Attendo le vostre impressioni!

martedì 15 luglio 2014

L'ultimo dei Mohicani

L'ultimo dei Mohicani di Cooper è un romanzo che ha lasciato in me delle impressioni molto diverse tra loro. Ma procediamo con ordine.

Siamo intorno al 1750 nel Nord America, dove imperversano le lotte tra Francesi e Inglesi e tra gli Indiani loro alleati. Il maggiore Heyward ha l'incarico di portare a Munro le sue due figlie Cora e Alice, entrambe belle, dolci e virtuose. Durante il loro viaggio incontrano dapprima il cantore Gamut e poi il cacciatore Occhio di Falco, un “bianco” come loro, e i suoi due inseparabili compagni, i pellerossa Chingachguk e suo figlio Uncas, l'ultimo dei Mohicani. Questi avvertono Heyward che il suo accompagnatore, l'Hurone Magua, è un essere infido da cui ci si deve guardare e, proprio da questo punto, cominciano tutte le avventure e le guerre che porteranno alla sofferta conclusione dell'opera.

L'ultimo dei Mohicani è un grande esempio di unione fra i popoli, anche sotto il punto di vista religioso, e di integrazione, come dimostrano le parole di Munro:

Dite a quelle donne buone e gentili (donne del popolo Delaware) che un vecchio col cuore spezzato porge loro i suoi ringraziamenti. Dite loro che l'Essere che sotto nomi diversi tutti adoriamo si ricorderà della loro carità; e che non sarà lontano il momento in cui potremo riunirci attorno al Suo trono senza distinzione di sesso, di rango o di colore.”

Tutto questo si riscontra anche nelle parole e negli atteggiamenti di Occhio di Falco, così unito ai suoi due amici “selvaggi”.

La descrizione dei paesaggi, delle varie tribù indiane e delle loro usanze è magistrale e vale più di tutta la vera e propria trama.

La cosa che mi ha innervosita è il motivo da cui prende il via la storia, cioè la presenza delle due fanciulle: tutti i guai sono causati da loro e, sinceramente, le avrei totalmente omesse dal racconto, strutturando le avventure narrate in un altro modo. Ciò che non sopporto sono i caratteri deboli come quello di Alice, ingenua fino alla nausea e sempre pronta a svenire.

Ad ogni modo, L'ultimo dei Mohicani è un grande romanzo, soprattutto per quanto riguarda le caratteristiche descritte prima del precedente paragrafo di sfogo. Ritengo che questo titolo vada conosciuto per l'opera letteraria e non solamente per il film più famoso tratto da essa.

lunedì 7 luglio 2014

Il cervello di Donovan

Il cervello di Donovan non è un romanzo molto facile da reperire, ma vale davvero la pena di cercarlo e di leggerlo con attenzione. Quest'opera di Siodmak è un classico della fantascienza, ma è scritta e si sviluppa come se fosse un “giallo”. Non capisco come sia possibile che non ci siano ristampe recenti!

Patrick Cory è un medico di trentotto anni che vive a Washington Junction, dove si dedica da anni (grazie anche all'aiuto economico della moglie, Janice) ad esperimenti sul cervello. Una notte avviene la svolta: un aereo cade poco distante dalla sua abitazione e Cory porta una delle vittime dell'incidente in casa sua per cercare di salvarla. Lo sfortunato viaggiatore, però, muore e il dottore asporta il suo cervello per collegarlo a dei dispositivi che gli permettano di vivere artificialmente. Sia la moglie che il vecchio collega Schratt disapprovano il suo gesto perché, oltre ad essere immorale, il cervello della vittima appartiene pure ad un uomo molto importante, e questo può causare parecchi problemi. Poco a poco l'organo asportato si ingrandisce sempre di più, riuscendo a connettersi con il cervello di Cory...

Lasciando da parte la trama avvincente, Il cervello di Donovan riporta in luce un dilemma che ha da sempre tormentato l'uomo: fin dove è possibile spingersi con la conoscenza? Essa ha dei limiti oppure no? Ai nostri giorni, con i passi da gigante fatti dalla tecnica, sembra una domanda banale, ma non è così e lo dimostra l'ampio dibattito etico che interessa filosofi, scienziati e teologi. Se fin dall'antichità (vedi l'Albero della Conoscenza in Genesi o il fuoco portato da Prometeo agli uomini) l'uomo è stato messo in guardia nell'indagare i segreti della vita e della morte (quelli che riguardano quindi la sfera “divina”) non sono questi dei moniti atti a porre dei limiti alla conoscenza per non arrivare a creare e/o subire gravi danni?

Questo piccolo capolavoro di Siodmak si legge in pochissimo tempo e coinvolge subito il lettore all'interno della sua trama. Come ho detto all'inizio, nonostante non sia facile da trovare, fate il possibile per procurarvene una copia. Ne rimarrete intrappolati!


domenica 29 giugno 2014

La peste

La peste è sicuramente il romanzo più conosciuto di Albert Camus. La storia si svolge ad Orano, una brutta città francese della costa algerina. Siamo nel 194... e, all'improvviso, i ratti cominciano a morire in numero elevatissimo; il morbo degli animali, inizia ben presto a manifestarsi anche negli uomini. Il dottor Bernard Rieux, insieme al collega Castel, si rende conto che si tratta di peste. Cominciano così ad essere prese delle misure per salvaguardare l'espandersi del contagio e su come isolare i malati. La città viene così isolata e, con la collaborazione di Rieux, vengono organizzate delle formazioni sanitarie a cura di Jean Tarrou, un uomo ossessionato dal problema se si può essere santi senza Dio. Al dottore e a Tarrou si affiancano altre persone: Joseph Grand, un modesto impiegato del comune sempre pronto a lavorare e scrittore di una “grande opera”; Raymond Rambert, un giornalista francese travolto dalla voglia di evadere dalla “città prigione” per potersi ricongiungere alla sua donna; padre Paneloux che, da bravo religioso, afferma che la peste è un castigo di Dio mandato agli uomini a causa dei loro peccati.

Il romanzo racconta in maniera realistica tutte le precauzioni prese contro l'epidemia, il modo di isolare i malati e il come evitare di contrarre il contagio da parte dei sani, il sistema di numerare e di seppellire i morti ecc. Accanto a questo quadro si affianca quello dei vari personaggi sopra menzionati, fatto dei loro pensieri, delle loro paure e delle loro azioni in una città totalmente sconvolta.

La peste narrata da Camus è una metafora che sta ad indicare l'oppressione, il male, i regimi politici, come il nazismo, che distruggono l'uomo. La cosa che mi lascia perplessa, però, è la sua descrizione del modo di reagire degli abitanti di Orano. Camus descrive delle persone che rifiutano di accettare passivamente la catastrofe che le ha colpite, ma questo non mi convince. In una città isolata non credo che possano esserci soprattutto solidarietà, pazienza, speranza; secondo me è più probabile che ci siano saccheggi (nel romanzo si parla di sfuggita di alcuni furti), paura verso chiunque, in quanto tutti sono o possono essere potenziali portatori della malattia, pazzia, in una parola caos.

Ad ogni modo, La peste è un romanzo crudo, claustrofobico, schietto e, in una parola, un capolavoro!

domenica 22 giugno 2014

Carmilla

Dopo i post “religiosi” dei giorni scorsi, con quello di oggi si cambia totalmente: passo così dal sacro all'horror.

Carmilla è un racconto, pubblicato nel 1872, dello scrittore irlandese Joseph Thomas Sheridan Le Fanu (1814 – 1873).

La storia è ambientata in Stiria, dove la giovane Laura abita con il padre, le due governanti e la servitù, in un enorme castello circondato da chilometri di foresta. Una sera, suo padre le fa leggere una lettera molto confusa del generale Spielsdorf, la quale annuncia la morte della sua pupilla avvenuta a causa “del demonio che ha tradito la nostra infatuata ospitalità”. Poco dopo, in questa notte di luna piena, ecco comparire degli uomini a cavallo e una carrozza che subisce un incidente. Nel trambusto che segue, una delle donne in viaggio affida al padre di Laura la propri figlia, Carmilla. All'inizio della convivenza con la nuova arrivata le cose vanno bene, anche se la forte attrazione che Laura prova verso di lei è turbata da una sensazione di repulsione e odio. Carmilla è languida, affascinante e, spesso, si lascia andare a strane frasi e atteggiamenti ambigui, come è descritto in questo passaggio:

Lei mi baciò senza parlare.
Io sono sicura, Carmilla, che tu sei innamorata. Devi avere un amore nel cuore, anche tu in questo momento.”
Non sono mai stata innamorata di nessuno e mai lo sarò”, sussurrò lei, “a meno che non si tratti di te.”
Com'era bella alla luce della luna! Timido e strano era il suo sguardo quando, in fretta, nascose il viso contro il mio collo, affondandolo tra i miei capelli, con profondi sospiri che sembravano singhiozzi, stringendomi la mano nella sua, che tremava.
Sentivo la sua morbida guancia ardere contro la mia.
Cara, cara”, mormorò, “io vivo in te; e tu morirai per me, perché io ti amo così tanto!”

Naturalmente, dall'arrivo di Carmilla strani avvenimenti cominciano ad accadere... Ma interrompiamo qui il riassunto per non svelare nulla di più!

I luoghi, le situazioni e la tipologia dell'essere sovrannaturale di cui qui si parla sono tipici della letteratura dell'orrore, ma Le Fanu sa utilizzare tutto questo con sapienza, inserendo tutti i tasselli del componimento nel modo giusto, riuscendo così a creare immagini nitide e, nello stesso tempo, piene di trepidante attesa. M. R. James lo adorava e del suo giudizio ci si deve fidare!

Non posso fare altro che consigliarvi la lettura di Carmilla e di ammirare la maestria con cui è stato costruito il personaggio che dà il titolo a questo piccolo capolavoro.

lunedì 16 giugno 2014

Notte oscura

Chiedo scusa per la lunga serie di libri religiosi che sto postando, ma è quello che ultimamente ho fra le mani e, se devo essere sincera, sono molto interessanti. Lasciando da parte i soliti discorsi anticlericali ecc. bisogna comunque ammettere che la religione ha dato vita a diverse cose positive, soprattutto per quanto riguarda l'ambito del pensiero. Tutto questo per dire che qui non voglio portare avanti un discorso sul dover credere o meno, ma semplicemente mi interessa la letteratura e il pensiero, in ogni sua forma.

Dopo questo preambolo (probabilmente inutile) vorrei parlarvi di Notte oscura di san Giovanni della Croce. E' la prima volta che mi sono trovata di fronte ad un libro di mistica e non avevo la più pallida idea di che cosa parlasse e in che modo. Bene, in questa breve opera, il monaco spagnolo spiega come poter arrivare alla comunione con Dio: l'uomo, per giungere a questo stadio, deve passare attraverso delle tappe, le quali rappresentano la notte oscura, piena di ansie, di paure e di sofferenze. All'inizio l'uomo si trova di fronte a dei “difetti”, cioè a dei vizi; successivamente, dopo averne preso coscienza, passa alle tenebre che portano all'umiltà verso Dio e alla carità verso il prossimo. La parte più impegnativa di questo cammino è quella che si può definire come notte dello spirito, dove l'uomo arriva a credere di essere abbandonato da Dio. Per finire, si passa al lasciarsi amare da Dio: infatti, è Lui che entra in noi, quindi il mistico è un soggetto passivo, è colui che si lascia prendere da Dio. Dalla notte oscura si passa così alla notte felice, in cui l'amata (l'anima) si ricongiunge all'Amato (Dio). Il cammino da fare è complesso e comprende molti più stadi di questo e Giovanni li spiega servendosi dei commenti fatti ad una poesia che si trova in apertura dell'opera.

Lasciando da parte l'unione con Dio, trovo molto interessante quest'opera perché, oltre alle bellezza dello stile e al fascino dell'argomento, questo percorso può benissimo riguardare chiunque, in quanto è un modo per conoscere se stessi a fondo. Notte oscura dovrebbe essere abbastanza semplice da trovare e vi consiglio di leggerlo perché è un esempio di grande forza, sia interiore a livello di pensiero, sia esteriore come sopportazione delle esperienze negative della vita.

mercoledì 11 giugno 2014

Vita dell'arciprete Avvakum

La Vita dell'arciprete Avvakum è uno dei capolavori della letteratura russa, purtroppo non molto conosciuto.

Nel XVII secolo, in Russia, ha luogo un grande scisma all'interno della Chiesa ortodossa, in cui si contrappongono i Vecchi Credenti (i raskolniky, di cui fa parte Avvakum) e il Patriarca Nikon con i suoi seguaci. Nikon apportò diverse modifiche nella liturgia ortodossa, basandosi soprattutto su quella della Chiesa greca, corrompendo così il vero spirito della religione russa, profondamente radicata nel popolo e in cui ministri del culto erano uomini esattamente uguali al resto dei credenti. Avvakum e altri si oppongono a quella che per loro è una vera e propria eresia e per questo vengono perseguitati e puniti. Con il Concilio del 1666-67, le cose precipitano inesorabilmente. Avvakum passa la maggior parte della sua vita o in esilio o imprigionato ma, a differenza di altri suoi compagni, non cede mai: fino alla fine combatterà contro l'apostata Nikon e patirà qualsiasi tortura pur di continuare a professare la vera fede, che non è di certo quella corrotta dei Greci e dei Latini. La forza di quest'uomo è straordinaria e non solo la sua, ma anche quella della moglie e dei figli, costretti a seguirlo durante l'esilio e anche loro imprigionati. In questa autobiografia Avvakum parla nel linguaggio schietto del popolo, senza lasciarsi andare a pensieri troppo complicati tipici dei Cristiani latini. Quella dell'arciprete è una fede sentita, fisica e lo si capisce in particolar modo durante le descrizioni degli scontri contro i demoni che si impossessano delle persone e che tentano di corromperlo. Anche se vacilla, Avvakum torna sempre a Dio amandolo con più forza.

Leggendo questa Vita sono rimasta affascinata dalla tenacia di quest'uomo, anche se mi domando se davvero valga la pena soffrire così tanto per ciò in cui si crede: certo è nobile, ma non è detto che l'esempio dato serva poi in futuro. Spesso ci si dimentica di questi martiri o li si ammira, ma senza provare neanche lontanamente la loro passione. Ad ogni modo quest'opera è un esempio di grande forza e di grande bellezza letteraria che va assolutamente riscoperta e amata.