mercoledì 31 dicembre 2014

La scienza nuova

Il 2014 sta per finire. Questo, per me, è stato un anno ricco di avvenimenti, la maggior parte dei quali positivi: ho conosciuto delle persone fantastiche, ho visto dal vivo due gruppi che amo molto e, finalmente, ho iniziato a lavorare! D'altra parte ho perso il mio amico a quattro zampe, evento che non riesco ancora a superare. Spero che per voi sia stato un grande anno e vi auguro che il 2015 sia anche migliore.
Concludo il 2014 con un libro non facilissimo, ma comunque importante e degno della massima attenzione: La scienza nuova di Giambattista Vico.

Partiamo da un'opera precedente, il De antiquissima italorum sapientia: qui Vico espone una teoria fondamentale, cioè quella del verum-factum. Per il filosofo napoletano la conoscenza di una cosa consiste nel farla, cioè noi possiamo conoscere soltanto ciò che facciamo o che costruiamo. Da questo punto si arriva al tema centrale de La scienza nuova: la storia, essendo fatta dall'uomo, è a tutti gli effetti una scienza, in quanto i fatti storici sono prodotti dagli uomini che conoscono perciò dall'interno gli eventi (“il mondo delle nazioni è pur certamente fatto dagli uomini”). Alla storia devono congiungersi la filologia e la filosofia: la prima conosce il particolare, il certo, mentre la seconda conosce l'universale, il vero. Praticamente la filologia riguarda lo studio delle lingue, dei costumi, dei commerci, delle guerre ecc., mentre la filosofia serve ad arrivare alle leggi universali che regolano e guidano il tutto, rendendo così la storia una scienza vera e propria.
Vico parla di tre età storiche alle quali corrispondono tre piani mentali dell'uomo. La storia delle nazioni parte da un'età degli dei a cui corrisponde il senso, dove gli uomini “sentono senza avvertire”; successivamente si ha l'età degli eroi, in cui prevale la fantasia, dove essi “avvertono con animo perturbato e commosso”; infine, c'è l'età degli uomini, dominata dalla ragione, in cui gli uomini “riflettono con mente pura”. Ad ognuna di queste epoche corrispondono delle particolari caratteristiche ed è interessante che per Vico i miti siano un'espressione naturale e spontanea della mentalità primitiva, distruggendo così quella visione che faceva di loro dei portatori di verità filosofiche. Anche il linguaggio nasce come esigenza poetica: la metafora non è un artificio retorico, ma è l'antenata dell'uso letterale della lingua. Da ciò si arriva ad affermare che la poesia precede la prosa e principe assoluto dell'uso metaforico della lingua è Omero. L'Iliade e l'Odissea contengono fatti veri, testimonianze autentiche della storia greca, anche se sono narrati in forma mitica. Per Vico, inoltre, Omero non è un personaggio realmente esistito, ma è un “carattere poetico”, perché i due poemi a lui attribuiti sono in realtà il frutto di una creazione collettiva svoltasi per secoli.
Ed eccoci giunti alla celebre teoria dei ricorsi. Vico parla del Medioevo come di una “nuova barbarie”; ciò significa che ci può essere un ritorno e una ripetizione di tempi storici già trascorsi, caratterizzati da un sistema giuridico duro e da pene crudeli. Questo “ritorno” è dovuto al corrompersi della ragione perché è un regresso e non esprime il naturale corso della storia.

Vico è un autore che spesso viene trattato sommariamente e questo è un enorme peccato. Nonostante alcune parti del suo discorso possano risultare “ingenue”, ciò non toglie che sia stato un grande pensatore e che le sue idee abbiano influito sul pensiero europeo. Le sue teorie sul linguaggio e sulla storia come scienza sono a dir poco meravigliose e fondamentali.

Colgo l'occasione per ringraziarvi di seguire il blog e per farvi gli auguri! Appuntamento all'anno prossimo con tante nuove recensioni! :)

Nessun commento:

Posta un commento