domenica 28 ottobre 2012

I Racconti di Canterbury

Chaucer è considerato l'iniziatore della letteratura inglese e colui che ha posto le basi della lingua inglese.

I Racconti di Canterbury è composto da ventuno novelle delle quali tre sono incomplete (Sir Thopas, il Racconto del Cuoco e il Racconto dello Scudiero). L'opera si apre con la descrizione dei trenta personaggi che devono partire per un pellegrinaggio verso il santuario di Thomas Becket a Canterbury. Loro punto di partenza è la taverna "Tabard Inn", dove l'Oste propone ad ognuno dei pellegrini di narrare dei racconti per alleviare la noia del viaggio; al ritorno egli offrirà una cena a colui che avrà raccontato le storie più belle. Tutti acconsentono e se qualcuno dovesse tirarsi indietro, sarà costretto a pagare le spese di viaggio a tutti.

Ogni racconto è annunciato da un prologo e a volte è presente anche una chiusura. I temi sono diversi, ma la maggior parte delle novelle tratta dell'amor cortese, della corruzione della Chiesa, dell'avarizia, del tradimento e della fede.

I personaggi sono descritti in modo accurato all'inizio dell'opera e il carattere di ognuno si conosce meglio dagli argomenti che tratta nei suoi racconti. Le persone che hanno a che fare con la Chiesa sono divise in due gruppi principali: quelli che credono davvero e quelli che usano la credulità della gente per arricchirsi o per vivere a scrocco. Anche gli altri personaggi hanno delle caratteristiche peculiari, spesso proprie del ruolo che investono.

I Racconti di Canterbury prendono molto dalla letteratura italiana, soprattutto da Dante, Petrarca e ovviamente Boccaccio (al quale Chaucer deve molto).
 
Quest'opera, nonostante risalga al 1387, è attuale e si legge in modo scorrevole; essa passa da storie serie a storie più divertenti, ma comunque tutte danno degli spunti di riflessione e descrivono comportamenti e situazioni tipiche dell'uomo. Assolutamente da leggere!

lunedì 22 ottobre 2012

Il grande Gatsby

"Il grande Gatsby" è considerato il capolavoro di Francis Scott Fitzgerald e il manifesto della cosiddetta Età del Jazz.

L'opera narra la storia di Jay Gatsby, uomo che ha saputo costruirsi da sè la propria fortuna. Nick Carraway, il narratore del romanzo, prende in affitto una casa di proprietà di Gatsby, diventando così suo vicino; i due ben presto diventano amici. Nick è amico anche di Daisy Fay e di suo marito Tom Buchanan, giocatore di polo e dedito a tradire la moglie senza usare troppe accortezze per nasconderglielo. Man Mano che la storia procede, Nick viene a sapere la storia di Gatsby e scopre che in passato aveva avuto una relazione con Daisy, della quale è ancora innamorato. Proprio grazie a Nick i due riescono a incontrarsi di nuovo e da quel momento la storia si avvia verso il suo tragico finale.

"Il grande Gatsby" descrive lo stile di vita tipico degli anni '20, in un'America popolata da personaggi come Tom Buchanan, uomo "a cui tutto è concesso", ma che non tollera l'abbandono da parte della propria moglie; come Daisy, donna sottomessa e fragile e come Jordan Baker, ragazza emancipata.

Quello di Gatsby è sicuramente il personaggio maggiormente delineato e drammatico dell'intera opera; egli è un uomo solo, ossessionato dal desiderio di avere Daisy e, infatti, è solo per lei che si è costruito (in maniera poco pulita) tutto il suo mondo fatto di feste e lusso. E' un uomo destinato alla sconfitta e la sua morte fisica era già stata preceduta dalla sua morte interiore.

"Il grande Gatsby" è composto da nove brevi capitoli, scritti in stile semplice e scorrevole. Fitzgerald non descrive dettagliamente i personaggi, ma lascia che sia il lettore a costruirli in modo completo grazie alle informazioni che gli mette a disposizione, non dilungandosi mai in lunghe descrizioni o analisi psicologiche.

E' un libro che consiglio di leggere per poter comprendere la bravura di uno dei più grandi e sfortunati scrittori del Novecento.

martedì 16 ottobre 2012

Jacques il fatalista e il suo padrone

Di Diderot avevo già letto, per un esame universitario, "Lettera sui ciechi per quelli che ci vedono"e pensavo di trovarmi di fronte ad un trattato un po' "pesante" visto l'argomento trattato. Per fortuna mi sbagliavo e lo ho studiato con piacere. Incuriosita dallo stile insolito di questo filosofo, ho deciso di approfondire la sua conoscenza leggendo un'altra opera e la scelta è caduta su "Jacques il fatalista e il suo padrone".

In questo romanzo atipico, Diderot racconta un viaggio compiuto da Jacques e dal suo padrone; il primo è un gran chiaccherone, mentre il secondo è un uomo che ama ascoltare. Durante il tragitto il servo comincia a narrare la storia dei suoi amori, ma viene costantemente interrotto, mentre, quando è il padrone a narrare i suoi, tutto fila liscio. Le costanti interruzioni aumentano la curiosità del lettore ed è proprio il Diderot ad intromettersi nel racconto, parlando direttamente con chi legge, creando così un vero e proprio dialogo nel dialogo. Oltre a Jacques, il suo padrone e il narratore, all'interno dell'opera si inseriscono altri personaggi, come l'ostessa di una locanda, che racconta loro la terribile vendetta della signora de La Pommeraye, e l'incontro con l'uomo che ha subito questa vendetta, il signor degli Arcis, che invece narra la storia dell'uomo che lo accompagna. Il finale, ovviamente, è meglio non svelarlo!

"Jacques il fatalista e il suo padrone" è un'opera originale ed è manifestazione di tutta la grandezza intellettuale del Diderot, uomo troppo "moderno" per i suoi tempi. Egli prende molto dal "Tristram Shandy" di Laurence Sterne (e ne ricopia delle parti nell'apertura e nella chiusura del romanzo), altro autore fuori dagli schemi dell'epoca e non a caso lodato dal francese.

Il personaggio di Jacques è costruito perfettamente e quando lo si sente parlare non si può fare a meno di immedesimarsi nella sua convinzione fatalista che "tutto è scritto lassù". Il rapporto servo - padrone, inoltre, è rovesciato, in quanto è Jacques che riesce a comandare il suo padrone, tenendolo in pugno con i suoi racconti e la sua scaltrezza.

Concludendo, posso dire che quest'opera è piacevole, fa sorridere e nello stesso tempo riesce a far riflettere. Un ottimo modo per conoscere la geniale irriverenza di Diderot.

sabato 13 ottobre 2012

Operette morali

Le "Operette morali" furono messe all'Indice dei libri proibiti nel 1850 perchè l'opera non presentava verità religiose e perchè la causa della miseria umana veniva rintracciata nella natura.

Leopardi comincia le "Operette morali" con la "Storia del genere umano", cioè una sua rivisitazione profana della Genesi, dove viene preannunciata la miseria della condizione umana; infatti, l'uomo è infelice perchè si sente limitato e con il dono della Verità da parte di Giove, conosce questa condizione; unico conforto che l'uomo ha è Amore. L'infelicità è il tema dominante di tutte le operette leopardiane e, nel "Dialogo della Terra e della Luna", la sofferenza si espande a tutto l'universo. Nel "Dialogo di un folletto e di uno gnomo", invece, viene narrato che l'uomo è scomparso dalla Terra e questo fatto non toglie nulla al pianeta, che continua a vivere, però senza guerre e violenze di ogni sorta. Nel "Dialogo della Moda e della Morte", la Moda lavora per la Morte e dice di essere sua sorella; entrambe agiscono sul corpo e la Moda rende la vita "più morta che viva", in quanto le toglie ogni movimento, ogni critica e ogni immaginazione. Nel "Dialogo della Natura e di un Islandese" la Natura è indifferente, non si cura delle sofferenze degli uomoni; l'universo è dominato dalla necessità, dove le cose nascono e vivono, con l'unico scopo di conservare il mondo.

Le operette sono molte di più, ma il mio vuole essere solo un riassunto molto generale. Per capire la grandezza di quest'opera e del pensiero leopardiano, bisogna leggerla con attenzione e si rimarrà sorpresi, inoltre, dall'attualità di Leopardi (vedi il discorso sulla moda, il concetto dell'uomo non più individuo ma facente parte "della massa", ecc.). E' vero, a volte l'autore esagera nel suo pessimismo, ma comunque c'è sempre una verità sulla quale sarebbe bene fermarsi a riflettere.

Quest'opera è da avere assolutamente: è un capolavoro!

mercoledì 10 ottobre 2012

Il mondo come volontà e rappresentazione


Schopenhauer finì di scrivere "Il mondo come volontà e rappresentazione" nel 1818; questa è la sua opera principale, in cui si riscontrano gli influssi delle Upanisad, di Platone e di Kant.

L'opera è divisa in quattro libri e si apre con la celebre frase: "Il mondo è una mia rappresentazione". Schopenhauer avanza la tesi che il mondo non è altro che un insieme di contenuti rappresentativi, che è condizionato dalla coscienza e dalle sue forme a priori di spazio, tempo e causalità; la realtà in sè è inconscibile e il nostro sapere è illusorio. Ciò che ci aiuta a capire tutto questo è il corpo: esso, esteriormente, è una rappresentazione fra le rappresentazioni, mentre, interiormente, è volontà. Più ci immergiamo nella nostra interiorità e più arriviamo a capire di essere parti di un'unica volontà cieca, irrazionale ed eterna. A causa della volontà il mondo è succube di una continua lotta in cui i singoli elementi cercano di affermare se stessi a danno degli altri, culminando nella specie umana che è governata dall'egoismo. Questo conflitto genera il dolore.

Quando l'uomo prende coscienza di questa volontà, arriva alla coscienza di sè e cerca quindi di liberarsi dal male. L'intelletto riesce ad affrancarsi dalla schiavitù della volontà grazie all'intuizione estetica. L'arte, infatti, è la prima via di liberazione trattata da Schopenhauer: essa è contemplazione disinteressata del mondo; questa liberazione però è provvisoria, in quanto, appunto, legata ai brevi momenti in cui avviene la contemplazione estetica. Si passa allora all'importante teoria della pietà: l'uomo abbatte le differenze che lo separano dai suoi simili, si identifica con essi, sente il loro dolore come il proprio e assume il bene altrui come motivo determinante d'agire come se fosse il suo bene. Dalla pietà nascono le virtù e l'ascesi: la partecipazione al dolore universale diventa un "quietivo" della volontà, che può così giungere alla sua autonegazione. Se si rinnega la volontà di vivere ci si libera dal male del mondo e si arriva ad uno stato di quiete.

"Il mondo come volontà e rappresentazione" è un capolavoro della filosofia, contrassegnato da una grandissima vivacità speculativa da parte dell'autore; Schopenhauer, infatti, partendo dagli autori sopra citati, arriva a costruire una teoria originale, in cui si esprime tutto il suo genio. L'autore, inoltre, non le manda a dire a nessuno e non mancano le frecciatine all'altro grande filosofo del tempo, Hegel.

Se si ha un po' di confidenza con la filosofia, la lettura di questo libro risulta molto piacevole: Schopenhauer non tratta mai i propri argomenti in modo troppo complicato e oscuro, anzi, usa uno stile chiaro, semplice ed efficacie. Leggetelo, ne vale davvero la pena!

venerdì 5 ottobre 2012

Le confessioni

La vita di Agostino d'Ippona è stata piena di avvenimenti che vengono narrati ne Le Confessioni.

L'opera è divisa in XIII libri. Nei primi capitoli, Agostino parla della sua infanzia a Tagaste, dei suoi studi e della sua professione di retore a Cartagine dove vive una vita dissoluta (vivrà per molti anni con una donna dalla quale avrà un figlio), fino a quando legge l'Hortensius di Cicerone e si avvicina al Manicheismo. Successivamente, parte per Roma e per Milano con la madre (alla quale Agostino era molto legato), la concubina, il figlio ed alcuni amici; proprio a Milano ascolta le prediche del vescovo Ambrogio e decide di convertirsi al Cristianesimo.

Gli ultimi capitoli sono dedicati al Tempo. Agostino parte dall'analisi della Genesi ed arriva ad affermare che il Tempo nasce con la creazione, in quanto Dio è fuori dal tempo. Il Tempo non è nè passato in quanto non è più nè futuro in quanto non è ancora; il Tempo esiste nel presente, ma a condizione di tramutarsi in passato e di non essere ancora futuro (se fosse sempre attuale, il presente sarebbe eterno). Per capire meglio il Tempo bisogna rivolgersi alla nostra interiorità: la memoria ci dimostra che ciò che ha trattenuto nel passato lo riviviamo sempre nel presente, mentre il futuro è un'attesa che avviene anch'essa nel presente. Passato, presente e futuro vengono uniti dall'anima. La spiegazione è più lunga ed articolata, ma questo non è il luogo adatto per affrontarla entrando nei dettagli.

Le Confessioni sono un testo molto importante dal punto di vista filosofico, sono un'opera piacevole e non difficile da capire ed è inoltre interessante la scelta dell'autore di rivolgersi sempre direttamente a Dio nel corso di tutto lo scritto.

mercoledì 3 ottobre 2012

Storia della filosofia indiana

Giuseppe Tucci è stato uno dei massimi orientalisti del Novecento, insegnante universitario e autore di studi importantissimi per la filosofia.

La "Storia della filosofia indiana" è un breve saggio sul pensiero indiano il quale vanta una tradizione religiosa e filosofica antichissima, ma che spesso non viene studiato o comunque non approfondito nella maggior parte dei corsi di studio.
 
L'autore ha diviso l'opera in due grandi parti: la prima, "La letteratura e i caratteri generali delle scuole principali", prende in esame le diverse grandi correnti di pensiero indiane (Jainismo, Buddhismo, le scuole materialistiche, Sankhya, Yoga, Nyaya, Vaisesika, Mimamsa, Vedanta e scuole scivaite), mentre la seconda, "I problemi" spiega in modo riassuntivo e comparativo le soluzioni proposte dalle varie scuole ai grandi problemi filosofici come quelli della conoscenza, di Dio, della fisica, della logica, degli universali, del linguaggio, della morale e dell'estetica.

L'esposizione di Tucci tocca solo alcuni punti di queste grandi scuole (come si conviene ad un'esposizione generale) ed è scritta in modo semplice e chiaro, in modo da poter essere compresa da tutti. La lettura è scorrevole e piacevole. La "Storia della filosofia indiana" è un'opera molto utile che aiuta a capire veramente il pensiero orientale, spesso sminuito e mal compreso per essere reso fruibile dalle masse che lo utilizzano come moda.

martedì 2 ottobre 2012

Inni alla notte Canti spirituali

Novalis è vissuto solo 28 anni, ma la sua produzione letteraria lo ha portato ad essere uno dei maggiori esponenti del Romanticismo tedesco. Nelle sue opere vengono toccati i più profondi motivi poetici, filosofici e spirituali di questo movimento. Grande importanza hanno avuto la filosofia di Fichte, gli incontri con Schelling, la grande amicizia con Friedrich Schlegel e con Ludwig Tieck e la breve storia d'amore con la giovane Sophie von Kuhn che verrà idealizzata dall'autore.

Gli Inni alla notte sono la massima espressione del Romanticismo, nati nel clima religioso del Romantikertreffen, l'incontro dei romantici, tenutosi a Jena nel novembre 1799. L'ispirazione di questi testi è avvenuta sicuramente come conseguenza della morte della fidanzata appena quindicenne Sophie. Il primo inno si apre con una lode alla luce, per poi passare alla celebrazione della misteriosa notte. Nel terzo inno viene rievocata la morte dell'amata, rendendo il testo più personale. Si arriva così al sesto inno, Nostalgia per la morte, il cui titolo allude al desiderio del poeta di raggiungere e possedere la morte.

I Canti spirituali si propongono come canti da essere usati nella liturgia ed infatti quattro di essi verranno musicati da Schubert. Visto l'uso popolare che se ne doveva fare, Novalis usa uno stile lineare, con rime facili ed immediate.

Sia negli Inni che nei Canti si può riscontrare l'educazione pietista appresa da Novalis fin dall'infanzia. Il pietismo era una corrente della religione protestante fondata sul rapporto personale e intimo tra il fedele e Dio; l'autore spesso ricorre a questa visione della religione, anche se adattandola al suo pensiero.

Gli Inni alla notte e i Canti spirituali sono una lettura fondamentale, scritti con grande lirismo ed intensità, scaturiti dal grande genio di Novalis.