Il 2014 sta per finire. Questo,
per me, è stato un anno ricco di avvenimenti, la maggior parte dei
quali positivi: ho conosciuto delle persone fantastiche, ho visto dal
vivo due gruppi che amo molto e, finalmente, ho iniziato a lavorare!
D'altra parte ho perso il mio amico a quattro zampe, evento che non
riesco ancora a superare. Spero che per voi sia stato un grande anno
e vi auguro che il 2015 sia anche migliore.
Concludo il 2014 con un libro
non facilissimo, ma comunque importante e degno della massima
attenzione: La scienza nuova
di Giambattista Vico.
Partiamo
da un'opera precedente, il De antiquissima italorum
sapientia: qui Vico espone una
teoria fondamentale, cioè quella del verum-factum. Per il filosofo
napoletano la conoscenza di una cosa consiste nel farla, cioè noi
possiamo conoscere soltanto ciò che facciamo o che costruiamo. Da
questo punto si arriva al tema centrale de La scienza
nuova: la storia, essendo fatta
dall'uomo, è a tutti gli effetti una scienza, in quanto i fatti
storici sono prodotti dagli uomini che conoscono perciò dall'interno
gli eventi (“il mondo delle nazioni è pur certamente
fatto dagli uomini”). Alla
storia devono congiungersi la filologia e la filosofia: la prima
conosce il particolare, il certo, mentre la seconda conosce
l'universale, il vero. Praticamente la filologia riguarda lo studio
delle lingue, dei costumi, dei commerci, delle guerre ecc., mentre la
filosofia serve ad arrivare alle leggi universali che regolano e
guidano il tutto, rendendo così la storia una scienza vera e
propria.
Vico
parla di tre età storiche alle quali corrispondono tre piani mentali
dell'uomo. La storia delle nazioni parte da un'età degli dei a cui
corrisponde il senso, dove gli uomini “sentono senza
avvertire”; successivamente si
ha l'età degli eroi, in cui prevale la fantasia, dove essi
“avvertono con animo perturbato e commosso”;
infine, c'è l'età degli uomini, dominata dalla ragione, in cui gli
uomini “riflettono con mente pura”.
Ad ognuna di queste epoche corrispondono delle particolari
caratteristiche ed è interessante che per Vico i miti siano
un'espressione naturale e spontanea della mentalità primitiva,
distruggendo così quella visione che faceva di loro dei portatori di
verità filosofiche. Anche il linguaggio nasce come esigenza poetica:
la metafora non è un artificio retorico, ma è l'antenata dell'uso
letterale della lingua. Da ciò si arriva ad affermare che la poesia
precede la prosa e principe assoluto dell'uso metaforico della lingua
è Omero. L'Iliade e
l'Odissea contengono
fatti veri, testimonianze autentiche della storia greca, anche se
sono narrati in forma mitica. Per Vico, inoltre, Omero non è un
personaggio realmente esistito, ma è un “carattere poetico”,
perché i due poemi a lui attribuiti sono in realtà il frutto di una
creazione collettiva svoltasi per secoli.
Ed
eccoci giunti alla celebre teoria dei ricorsi. Vico parla del
Medioevo come di una “nuova barbarie”; ciò significa che ci può
essere un ritorno e una ripetizione di tempi storici già trascorsi,
caratterizzati da un sistema giuridico duro e da pene crudeli. Questo
“ritorno” è dovuto al corrompersi della ragione perché è un
regresso e non esprime il naturale corso della storia.
Vico
è un autore che spesso viene trattato sommariamente e questo è un
enorme peccato. Nonostante alcune parti del suo discorso possano
risultare “ingenue”, ciò non toglie che sia stato un grande
pensatore e che le sue idee abbiano influito sul pensiero europeo. Le
sue teorie sul linguaggio e sulla storia come scienza sono a dir poco
meravigliose e fondamentali.
Colgo
l'occasione per ringraziarvi di seguire il blog e per farvi gli
auguri! Appuntamento all'anno prossimo con tante nuove recensioni! :)