giovedì 26 dicembre 2013

Il dottor Zivago

Il dottor Zivago è un romanzo, pubblicato per la prima volta da Feltrinelli nel 1957, di Borìs Pasternàk.

Protagonista dell'opera è il medico Jurij Zivago, la cui storia viene seguita negli anni compresi tra la sua infanzia, nel periodo della rivoluzione del 1905, e la sua morte, avvenuta prematuramente alla fine degli anni '20. Jurij, dopo aver perso la madre in tenera età, cresce a casa della famiglia Gromeko e sposa la figlia del suo benefattore Tonja. Mentre è in guerra come medico conosce Lara: tra i due scoppia una travolgente passione che li terrà uniti, anche nei momenti di distanza, per tutta la vita. Le vicende del dottor Zivago e degli altri personaggi del romanzo sono segnate, direttamente o indirettamente, dagli eventi storici dei primi del Novecento: dall'insurrezione del 1905, dalla guerra contro l'Austria del 1914, dalla rivoluzione bolscevica del 1917, dalla guerra civile seguita a quest'ultima che ha sconvolto profondamente i territori della grande Russia. Dalle pagine de Il dottor Zivago si intuisce che Pasternàk è convinto della necessità di un cambiamento, di una rivoluzione, ma all'uomo è di fondamentale importanza anche il mantenere viva la sua parte spirituale, religiosa, per non finire nella mera violenza. Accanto alla storia, l'autore dà il via a diverse riflessioni che riguardano aspetti profondi dell'esistenza, come la vita dell'uomo e il suo rapporto con la natura, la storia, l'arte e la religione.

L'opera è composta da sedici grandi capitoli, a loro volta suddivisi in diversi brevi paragrafi e, alla fine, sono riportate venticinque poesie scritte dal dottor Zivago. Pasternàk, anche durante il romanzo vero e proprio, dà prova della sua grande dote poetica, soprattutto nelle descrizioni degli enormi paesaggi della Russia e nel parlare di Lara. Quest'ultima, infatti, è sempre accompagnata da riflessioni sulla vita, sui rapporti che legano gli uomini e sull'accordo con la natura.

Il dottor Zivago è un libro che riesce a penetrare in profondità nella mente e nel cuore del lettore ed è perciò comprensibile il grande successo che ha ottenuto fin dalla sua prima apparizione. I toni sono malinconici, mesti, ma si rimane comunque affascinati e intrappolati all'interno dell'opera, riuscendo a immedesimarsi nei personaggi e a calarsi completamente all'interno della storia russa d'inizio Novecento.

domenica 15 dicembre 2013

Anna Karenina

Anna Karenina è un romanzo, pubblicato tra il 1875 e il 1877, di Lev Tolstoj.

Dolly è una madre amorevole di una numerosa prole, tormentata però dai tradimenti del marito, Stepan Oblonskij, uomo spensierato e amante dei piaceri della vita. Per ristabilire la pace fra i due coniugi, viene chiamata da Stepan la sorella Anna, la quale giunge a Mosca da Pietroburgo, città in cui conduce con il marito Karenin, un alto e importante funzionario imperiale, una vita coniugale priva di qualsiasi gioia, rischiarata solo dall'amore per il figlio Sereza. Durante il suo soggiorno moscovita, Anna conosce Vronskij, un giovane ufficiale, il quale sembrerebbe far la corte a Kitty, la sorella di Dolly. Fin dal loro primo incontro scatta una passione travolgente: Vronskij segue Anna a Pietroburgo e, ben presto, la loro storia diventa di dominio pubblico, procurando ai due grossissime difficoltà. Con il passare del tempo, la loro storia d'amore li porterà ad un tragico epilogo. Kitty, invece, dopo essersi ripresa dall'offesa ricevuta da Vronskij, sposa Levin, un giovane serio e operoso, innamorato di lei.

Anna è una donna complessa, tormentata dai sensi di colpa verso il marito e verso il figlio, sola perché disprezzata da tutta l'alta società di cui faceva parte, oppressa dalla sensazione di non essere più amata da Vronskij. Quest'ultimo, infatti, sente come un peso l'attaccamento geloso di lei, nonostante lui abbia rinunciato a tutto per starle accanto. Karenin, il marito di Anna, è invece un uomo freddo, al quale interessano solo le convenienze sociali, arrivando addirittura a “tollerare” l'adulterio della moglie, purché ella non dia luogo a qualche scandalo, compromettendolo agli occhi della società. Dolly è gelosa della forza di Anna e del suo amore per Vronskij, ma si rassegna a vivere con il marito Stepan e a trarre felicità dai propri figli. Levin è un uomo attaccato alla terra, in costante comunione con la natura e con i contadini che la lavorano; il suo tormento è dato dalla mancanza di fede, ma, nonostante i mille pensieri a cui non riesce a trovare delle risposte, è felice grazie al matrimonio con Kitty. La storia d'amore di Levin e Kitty fa da contraltare a quella tra Anna e Vronskij, i quali, ogni volta che compaiono, hanno intorno a loro rumori metallici o di veicoli di ogni sorta, come a presagire la fine tragica della loro unione.

Anna Karenina è un capolavoro assoluto della letteratura, un romanzo costruito magistralmente ed è comprensibile il grande dispendio di energia usato da Tolstoj per portarlo a termine. L'unica cosa che non mi è piaciuta particolarmente è il personaggio di Levin in alcuni dei suoi aspetti caratteriali. Il suo tormento religioso a lungo trattato alla fine del romanzo mi pare fuori luogo, tanto da rovinare un po' la conclusione dell'opera. Altra nota a sfavore è l'impressione che ho avuto della costante condanna del comportamento di Anna da parte di Tolstoj. Ad ogni modo, lasciando perdere le mie considerazioni personali, Anna Karenina va assolutamente letto e non ci sono scuse per non farlo!

domenica 8 dicembre 2013

Racconti / Bel-Ami

Maupassant scrisse molti racconti per giornali e riviste con lo scopo di guadagnare e perciò concentrò maggiormente la sua attenzione sui romanzi. A mio avviso, però, sono proprio i racconti gli scritti che rivelano in modo più chiaro la sua bravura.

Maupassant scriveva nelle pause dal lavoro (aveva un incarico nel Ministero della Marina e poi in quello della Pubblica Istruzione), chiedendo spesso alla madre degli aneddoti su ciò che succedeva in città. Successivamente, egli isolava un solo elemento di un'intera vicenda, concentrandosi su quello, senza altri "fronzoli" intorno, in modo da provocare nel lettore una reazione immediata al fatto narrato. 
In questi racconti, i personaggi sono privi di qualsiasi descrizione psicologica e vengono delineati brevemente, mettendo in rilievo qualche tratto, lasciando così solo intuire la loro personalità. I luoghi e le persone che Maupassant presenta sono quelli della campagna normanna, nella quale è cresciuto, e quelli di Parigi, una città popolata da borghesi mediocri, sempre pronti a ricorrere ad intrighi pur di poter emergere. Qualsiasi classe sociale ha, però, per l'autore le stesse caratteristiche, si tratti di quella dei contadini o dei funzionari o dei borghesi: in ognuna prevalgono l'egoismo, la cupidigia e la mancanza di ogni ideale.
Da tutto questo emerge una visione della vita decisamente cupa, in cui non esiste nessun tipo di morale, dove tutto è mosso dal caso, crudele e cieco, e, solo qualche volta, affiora un qualche elemento beffardo che interviene per mitigare un po' l'asprezza di questo destino. 

Bel-Ami è il secondo romanzo di Maupassant, uscito nel 1885 a puntate su “Gil Blas” nell'aprile-maggio (anche se apparve già un anno prima, su questo stesso giornale, in parti separate sotto forma di racconti). È la storia di Georges Duroy, un giovane arrivista, privo di un qualsiasi talento, ma che, grazie ad una certa furbizia e al suo fascino, riesce a farsi strada nel giornalismo e poi in politica. Ogni sua azione è bel calcolata per ottenere ciò che vuole e capisce che le donne sono uno strumento importante per arrivare al successo (sarà proprio la figlia di una delle sue amanti a soprannominarlo Bel-Ami, nome con il quale verrà poi chiamato da tutti). Anche qui predomina la visione pessimistica della vita dell'autore: il male è costantemente presente nel mondo e la natura umana è abietta.
Maupassant nasce come giornalista ed è per questo che il suo stile è chiaro, semplice e senza fronzoli. In Bel-Ami, oltre alla critica verso la società parigina, si assiste così anche alla descrizione delle grandezze e soprattutto delle miserie di questo nuovo importantissimo mezzo di comunicazione.

Maupassant non è certo stato un autore geniale, ma il suo lo sapeva fare molto bene e alcuni dei suoi racconti sono, sotto ogni punto di vista, dei piccoli capolavori. Provate a leggerli e fatemi sapere cosa ne pensate!

domenica 1 dicembre 2013

Opere di Niccolò Machiavelli

Ed eccoci arrivati a parlare di uno dei più importanti scrittori italiani: Niccolò Machiavelli. Di seguito troverete delle brevi “pillole” su cinque delle sue opere maggiori. L'edizione che ho (comprata molti anni fa con un quotidiano, quindi non so se si possa ancora recuperare da qualche parte; in ogni caso le opere si trovano tutte anche separatamente) contiene Il Principe, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, una parte de L'arte della guerra, La mandragola, Belfagor arcidiavolo e una raccolta di Lettere.

Il Principe (1513) è una delle opere fondamentali della letteratura e del pensiero italiani, un'opera che è stata studiata e presa come esempio da moltissimi intellettuali. Questo è uno scritto d'occasione, redatto dal Machiavelli per “accattivarsi” i Medici, in modo che lo prendessero al loro servizio e gli ridassero i ruoli da lui occupati durante la Repubblica; la dedica è infatti rivolta a Lorenzo de Medici, nipote del Magnifico, duca d'Urbino. Questo trattato è un'analisi attenta e lucida di come un principe deve mantenere uno stato. Spesso, le tesi riportate, sembrano assolutamente prive di morale, ma a Machiavelli questo non importa: ciò che all'autore interessa è la verità effettuale, cioè un'analisi dettagliata della natura degli uomini e degli stati che non lascia spazio a nessun tipo di utopie o di immagini “mitigate” di come potrebbero andare le cose. Importantissimo è il connubio tra virtù e fortuna. La virtù è l'insieme delle capacità che un principe ha di saper cogliere l'occasione per imporre la realizzazione del suo progetto, contrastando così la fortuna che può essergli avversa, ma che non deve essere da lui subita passivamente (il problema del libero arbitrio non viene totalmente risolto con questa spiegazione dal Machiavelli). Dopo l'analisi dei tipi di principati e di come si mantengono, si passa all'analisi delle diverse milizie, per poi arrivare alle caratteristiche che un buon principe deve avere per mantenere il suo stato.

I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1519) nascono dopo la delusione del mancato accoglimento delle proposte contenute ne Il Principe da parte dei Medici. Machiavelli comincia così a frequentare un gruppo di giovani intellettuali di tendenze repubblicane, il cui ritrovo sono gli Orti Oricellari. L'opera è dedicata a Zanobi Buondelmonti e a Cosimo Rucellai, entrambi discendenti di importanti famiglie e uomini amanti della cultura e della patria, frequentatori, appunto, degli Orti. In quest'opera Machiavelli prende la storia romana come modello di riflessione da cui trarre le soluzioni per risolvere la crisi politica fiorentina della sua epoca. Infatti, secondo lui, nella storia si attua una specie di ciclicità: uno stato nasce, cresce e decade, ritornando così al punto di partenza. Perché uno stato non incorra in questo circolo vizioso, deve saper rinnovare il momento più costruttivo del suo ciclo, proprio come hanno saputo fare per lungo tempo i Romani. La religione è uno strumento importante perché serve a mantenere sottomessi ed ubbidienti i cittadini. L'odierna Chiesa romana è dannosa, in quanto ha mantenuto l'Italia divisa e ha dato un pessimo esempio ai fedeli attraverso la sua condotta decisamente poco morale; la religione pagana, invece, attraverso i suoi riti, contribuiva all'unità della repubblica romana e per questo era positiva. Anche qui traspare il pessimismo di Machiavelli: le leggi sono necessarie perché gli uomini sono malvagi per natura. Le buone leggi nascono dagli scontri sociali, i quali sono utili al popolo per formarsi e per rivendicare i propri diritti.

L'arte della guerra (1519-1520) è un trattato strutturato come un dialogo tra Cosimo Rucellai, un amico del Machiavelli, altri giovani intellettuali e Fabrizio Colonna, uno dei più famosi condottieri italiani dell'epoca. Fabrizio parla, come dice il titolo, della guerra, prendendo come esempio i Romani dell'età repubblicana; molte tesi da lui esposte sono già state trattate dal Machiavelli nelle opere precedenti.

La mandragola e Belfagor arcidiavolo, sono due opere estremamente divertenti e ben costruite. La prima è una commedia che prende il titolo da un'erba che nel medioevo veniva considerata miracolosa e che presenta, nella forma della sua radice, un'immagine schematica di un piccolo corpo umano. Callimaco desidera far sua Lucrezia, moglie del “sempliciotto” messer Nicia; nell'impresa si farà aiutare dal suo fedele servo, dal furbo Ligurio e dall'immorale frate Timoteo. Nonostante la storia sia semplice nella sua struttura, l'effetto comico è assicurato e si può metterla tra le più importanti commedie del '500 per l'acuta analisi della società in cui viveva il Machiavelli. Belfagor, invece, è una novella satirica sul matrimonio e sulle mogli. Belfagor (nella Bibbia viene descritto come un dio dei Moabiti e dei Madianiti, venerato soprattutto dalle donne) viene mandato da Plutone sulla terra per capire come mai tutti gli uomini che finivano all'Inferno si lamentavano così tanto delle loro mogli. Il demone, acquisite sembianze umane, trova moglie e da lì cominciano tutte le sue peripezie, le quali sono incredibilmente spassose!

Che dire, il Machiavelli era un genio!

domenica 24 novembre 2013

Ivanhoe

Ivanhoe è un romanzo scritto da Walter Scott nel 1823.

Nel 1194 il regno d'Inghilterra, dilaniato dai conflitti fra sassoni e normanni, è retto dal vile re Giovanni, impossessatosi del trono mentre il fratello Riccardo Cuor di Leone è impegnato in Terra Santa. Dopo la divertente scena iniziale del romanzo, dove i protagonisti sono i servi di Lord Cedric, Gurth e Wamba, compare il fuggiasco Wilfred d'Ivanhoe, di ritorno dalla terza crociata, dove ha combattuto con re Riccardo: per questo fatto, era stato ripudiato dal padre, Lord Cedric.I personaggi presenti nell'opera sono molti e tutte le loro vicende finiscono per intrecciarsi, dando così vita ad innumerevoli avventure. Ed ecco le belle Rowena e Rebecca, il padre di quest'ultima, Isaac, i malviventi Robin Hood e Frate Tuck e i due cattivi, il priore di Jorvaulx e il terribile cavaliere templare Brian de Bois-Guilbert.

Scott non descrive mai nel dettaglio la fisionomia del suoi personaggi, ma tratteggia di tutti i tratti più importanti della loro psicologia. I loro caratteri, inoltre, scaturiscono dalle immagini del paesaggio che li circonda. Il personaggio di Bois-Guilbert, forse, è quello più complesso, in quanto è dilaniato da un profondo dissidio interiore: è un uomo cattivo, fattosi monaco dopo una delusione d'amore, il quale sfoga la propria pulsione sessuale repressa combattendo e compiendo il male.

Scott è stato il primo autore a rompere le regole del romanzo storico: con lui la storia e il racconto si intrecciano, eliminando il confine che separa finzione e realtà. Ivanhoe è sicuramente il suo romanzo più famoso e davvero vale la pena leggerlo: è ricco di colpi di scena, di trovate divertenti e mai banali, nonostante i personaggi, spesso, siano degli stereotipi, ma anche questo serve a far sorridere di più.

martedì 12 novembre 2013

Con gli occhi chiusi

Con gli occhi chiusi è un romanzo di Federigo Tozzi del 1913.

Pietro è figlio di un oste, un uomo che si è fatto da sé, ricco e proprietario di terreni. Domenico (il padre del protagonista e trasposizione letteraria di quello dell'autore) vorrebbe che il figlio seguisse le sue orme, ma a Pietro non interessa: egli è assorbito completamente dalla sua crisi interiore e dai suoi tormenti esistenziali, i quali lo fanno sentire inadatto al ruolo che il genitore vorrebbe per lui. Colpito dalla scomparsa prematura della madre (incredibile la descrizione della sua morte e del suo funerale), di carattere simile al suo, crede di poter colmare il vuoto lasciato dalla sua perdita con l'amore verso la contadina Ghisola. Pietro sogna, fantastica su questo sentimento che lui considera puro, mentre lei è una ragazza “facile”, calcolatrice, che pensa solo al proprio tornaconto.

Tozzi ha scelto il titolo Con gli occhi chiusi perché Pietro vive davvero così: è ingenuo, non percepisce come stanno realmente le cose e solo alla fine riuscirà ad aprire gli occhi, ma ciò che vedrà lo disgusterà. In un modo o nell'altro è comunque ingannato: da una parte vede le cose come non sono, mentre dall'altra rimane disilluso dalla realtà. La condizione umana è, quindi, sempre e soltanto triste. Pietro è un incompreso, un “diverso”, ma non è l'unico perché, secondo il pensiero di Tozzi, tutti gli uomini lo sono, solo che non se ne accorgono. Gli stati d'animo dei personaggi si riflettono sul paesaggio e l'amore per la terra è un misto di tenerezza e violenza.

Il realismo di Tozzi è un realismo fatto di angoscia, di dolore ed egli può essere considerato, a ragione, come un precursore dei romanzi esistenzialisti, che avranno un gran peso lungo tutto il Novecento. E' un peccato che questo autore venga spesso dimenticato nonostante il suo aver precorso i tempi e la sua forza stilistica.

Con gli occhi chiusi riesce a descrivere in modo crudo, diretto e violento il malessere dell'uomo moderno, il quale si sente alienato, incapace di comunicare e perciò chiuso nella sua solitudine. E' sicuramente uno dei romanzi più “potenti” che io abbia mai letto e per questo ve lo consiglio.

martedì 29 ottobre 2013

Divina Commedia

Ed eccoci arrivati a parlare del capolavoro dei capolavori: la Divina Commedia di Dante Alighieri. Non ero sicura di volerla affrontare, soprattutto perché, ripensando ai miei anni scolastici, me la ricordavo estremamente difficile. Ormai però mi ero messa in testa di leggerla e, armatami di tutta la mia buona volontà, ho compiuto il mio proposito. Appena terminata, sono rimasta a bocca aperta: non avevo mai, e dico mai, trovato un'opera così ricca di letteratura, filosofia, scienza ed immaginazione come la Divina Commedia! Dante ci ha lavorato per molti anni e capisco il perché; fatto sta che ogni cosa descritta appare chiara e viva davanti agli occhi.

Dopo questo proemio, che pare un po' esaltato (dovete scusarmi, ma mi è piaciuta troppo!), passiamo all'analisi dell'opera. La Commedia si compone di tre cantiche, ciascuna dedicata a un diverso regno ultraterreno (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna composta da trentatré canti (più una di introduzione posta all'inizio dell'Inferno). Il numero tre ha una valenza simbolica: esso indica infatti la Santissima Trinità; sono presenti in modo ricorrente anche il numero nove (tre volte tre) e il dieci (considerato il numero perfetto). I canti sono composti in terzine di endecasillabi a rima incatenata (quindi ABA BCB CDC...). Ciascuno dei tre regni, inoltre, è diviso in modo da ottenere una ripartizione simmetrica e, ovviamente, simbolica: l'Inferno è composto da nove cerchi più un vestibolo; il purgatorio di nove zone (una spiaggia, un antipurgatorio e sette cornici) più il Paradiso terrestre; il Paradiso di nove cieli più l'Empireo. Ogni cantica termina con la parola “stelle”, la quale indica l'anelito verso l'alto, quindi verso Dio, che pervade l'uomo. L'uso dell'allegoria è costante per tutto il poema: Dante, ad esempio, rappresenta l'intera umanità, Virgilio la Ragione, Beatrice la Teologia, ecc. Dante, tra le altre cose, espone qui la sua importante teoria dei “due soli”, quella cioè che prevede che il potere temporale sia dell'Imperatore, mentre quello spirituale della Chiesa, senza che l'uno si intrometta nella sfera di competenza dell'altro.

All'età di trentacinque anni, nel mezzo di quella che la Bibbia indicava come la durata della vita umana, Dante inizia il suo viaggio nell'aldilà, il quale durerà sette giorni, dalla notte del giovedì santo alla notte del giovedì dopo la Pasqua del 1300. Dante insiste nel dire che il suo è stato un viaggio reale e non una “visione”; questa affermazione non è un sintomo di pazzia, ma sta ad indicare che il suo racconto contiene verità religiose ispirate direttamente dalla Grazia Divina. Dio ha scelto proprio lui per le sue doti poetiche e infatti, per ben tre volte, Dante verrà incaricato di scrivere ciò che vede.

Riassumere l'opera è impossibile perché i personaggi che compaiono sono moltissimi e lo stesso vale per i temi trattati. Spero comunque che questo post, nonostante sia così misero, vi invogli a leggere la Divina Commedia.

martedì 22 ottobre 2013

La stanza rossa

La stanza rossa (Scene di vita di artisti e di letterati) è un romanzo del 1879 di Johan August Strindberg.

La “stanza rossa” è una sala interna del famoso Caffè Berus di Stoccolma, ritrovo di affamati e falliti bohèmiens, come Ygberg, Olle, Lundell, Struve e Falk, il “vero” protagonista dell'opera. Questi uomini sono pittori, poeti, giornalisti, sempre in cerca di scroccare da mangiare o una bottiglia di birra o acquavite. Le vicende di tutti i personaggi sopra elencati si incrociano le une con le altre, dando così vita ad un'autobiografia, narrata da persone diverse, dell'autore stesso, il quale appare inquieto, misogino, afflitto da un profondo senso di inferiorità. Ogni frequentatore della “stanza rossa” seguirà poi la propria strada, andando incontro ai destini più disparati, finale che descrive appieno il pessimismo costante di Strindberg. Attraverso le vicende di Arvid Falk, il giovane protagonista che, dopo aver lasciato un lavoro d'ufficio, tenta la carriera di poeta (fallendo), Strindberg coglie l'occasione per dipingere un quadro satirico-grottesco della società svedese. Questo romanzo sembra così ricreare una sorta di Circolo Pickwick in versione nordica.

Strindberg è stato un autore fondamentale, non solamente nei Paesi scandinavi, ma soprattutto in Germania, perché ispirò le avanguardie nate durante il primo conflitto mondiale. Nonostante lo si possa definire uno scrittore naturalista per lo stile e i temi trattati, alcuni critici lo hanno designato come il “padre dell'Espressionismo tedesco”.

La stanza rossa è un romanzo cupo, crudo e pessimista, ma leggerlo aiuta a capire non soltanto il tempo in cui è stato scritto, ma anche quello odierno, dove i “finti intellettuali” non si contano e dove l'ipocrisia, l'invidia e tutti gli altri sentimenti negativi dominano sovrani.

venerdì 18 ottobre 2013

Cuore di tenebra

Cuore di tenebra è un breve romanzo del 1902 di Joseph Conrad. Questa è probabilmente la sua opera più famosa e si basa su una sua esperienza personale. Conrad, infatti, risalì il fiume Congo nel 1890, viaggio che fece maturare in lui una concezione pessimistica intorno alla natura dell'uomo “civilizzato”. Proprio durante quell'esperienza raccolse diverse note che poi inserì in questo capolavoro.

Degli uomini sono su una nave ancorata sul Tamigi in attesa di partire. Tra di loro c'è Marlow, il quale inizia a raccontare la sua storia. Egli era stato assunto da una compagnia belga che lo aveva mandata in Africa alla ricerca del capitano Kurtz. Marlow narra così le difficoltà del viaggio e il terribile scenario che caratterizza la risalita del fiume Congo. Dopo diverse avventure troverà finalmente Kurtz, ma ciò che vede lo disgusta terribilmente.

Cuore di tenebra non è un viaggio in un paese esotico, ma è un esame attento ed accurato che Conrad compie intorno alla natura umana. I nativi, infatti, appaiono irrazionali, ma i bianchi sono molto più selvaggi e crudeli di loro, nonostante si definiscano “civili”. Nel personaggio di Kurtz, poi, si trovano condensati questi due aspetti: egli è riuscito ad impossessarsi dei costumi e dei riti della popolazione locale, non solo per poterla controllare, ma anche per poter soddisfare le sue voglie. Kurt rappresenta quindi il colonialismo europeo portato all'estremo.

Nonostante Conrad fosse spesso criticato per il suo modo di scrivere, il suo influsso è stato comunque notevole e Cuore di tenebra è un capolavoro che molti importanti autori hanno apprezzato e a cui altri si sono ispirati. Non dimentichiamoci che anche il cinema non è rimasto insensibile a quest'opera ed infatti Francis Ford Coppola la ha riadattata nel film Apocalypse Now del 1979.

Posso solo dire: da leggere!

domenica 13 ottobre 2013

Il castello di Otranto

Il castello di Otranto è un'opera di Horace Walpole, composta nel 1765.


Manfredo, il principe di Otranto, vive nel suo castello con la moglie Ippolita e i figli Matilda e Corrado. Il giorno delle nozze tra Isabella e Corrado, un enorme elmo discende dal cielo, schiacciando sotto di sé il promesso sposo. Dopo la tragedia, Manfredo tenta di uccidere la moglie per poter sposare la giovane Isabella, ma questa gli sfugge nascondendosi nei sotterranei del castello; qui incontra Teodoro, un contadino dai tratti stranamente nobili, il quale diventerà il suo protettore. Intanto incombono sul castello strani presagi dati da eventi soprannaturali, come la scoperta di frammenti di armature gigantesche, un ritratto che esce camminando dalla propria cornice ecc. La trama avrà degli importanti sviluppi che porteranno alla “vittoria della giustizia” alla fine del romanzo.

L'opera di Walpole, per essere un racconto dell'orrore, è piatta e anche un po' banale, scritta utilizzando termini e descrivendo azioni appartenenti al passato, che rendono il tutto troppo “pomposo”. Il castello di Otranto è comunque piacevole e si sorride delle ingenuità che contiene. La sua lettura, in ogni caso, è indispensabile perché questo romanzo fornisce gli elementi “tipici” del genere horror, i quali verranno ripresi all'infinito. Questi elementi sono: il castello gotico, formato da sotterranei labirintici, ali abbandonate dove nessuno mette più piede da secoli, strani fenomeni e spettri che si aggirano in esso; il nobile malvagio che cerca il potere; l'eroe nobile, ma che spesso appare di umili origini perchè ignaro del suo alto lignaggio, contrapposto all'eroina che deve salvare, ingenua e bella.

Per tutte queste ragioni, la lettura de Il castello di Otranto è necessaria!

mercoledì 9 ottobre 2013

Anche in radio!

Ciao a tutti!
Da stasera ricomincia la diretta del mio programma radiofonico, "Pensieri Scomodi", dalle 22.00 su www.viviradio.it!
Il programma cerca di unire letteratura e musica, trattando di volta in volta di un autore specifico, approfondendone la vita e le tematiche. Ovviamente verranno lette delle poesie e/o degli estratti dalle sue opere. La parte musicale sarà scelta in base alle affinità che presenta con l'autore trattato. 
Vi aspetto dalle 22.00 su www.viviradio.it! Non mancate!!!

giovedì 3 ottobre 2013

Casa di bambola

La "pillola" di oggi riguarda l'opera teatrale Casa di bambola del 1879 del norvegese Henrik Johan Ibsen.

Nora è sposata all'avvocato Torvald Helmer. Il rapporto tra i due coniugi è molto particolare: Helmer, più che un marito, è un padre padrone; egli, infatti, si riferisce spesso alla moglie con vezzeggiativi che richiamano nomi di uccelli, una chiara simbologia del nido familiare. L'attrazione sessuale che prova verso Nora è quasi incestuosa perchè Helmer, oltre ad incarnare una figura paterna, vede tutto ciò che riguarda la sfera sessuale come un qualcosa di proibito, come un tabù. Nora, invece, è unita al marito dalla consapevolezza di appartenere a lui per diritto naturale; ella si sacrifica così a lui perchè è convinta che, in questo modo, riceverà in cambio protezione e che egli si prenderà la responsabilità di ogni azione. Nora, però, si rende conto, anche se confusamente, che il loro legame non è "sano" e cerca di correggere questo rapporto: per farlo, farà una confessione molto pericolosa al procuratore Krogstad. In casa di Nora è presente anche la signora Linde: tra lei e Krogstad nascerà l'amore e le due coppie si scambieranno così di ruolo. Se a prima vista quella rappresentata da Nora e Helmer appare felice e realizzata, alla fine dell'opera diventerà quella più infelice e misera, perchè non ha un vero rapporto basato sulla fiducia come la coppia Krogstad-Linde. Un altro interessante personaggio è quello del dottor Rank, intimo amico di casa Helmer: egli è innamorato di Nora ed è invidioso della felicità altrui, a lui negata a causa di una malattia. Egli sembra buono, ma cela in sè della cattiveria che si palesa con chiarezza nel momento in cui interrompe l'inizio del rapporto sessuale fra Nora e il marito.
 
Nora è una bambina, una bambola; molti, però, hanno visto in lei, dopo l'evento che chiude l'opera, una donna che si ribella incarnando i principi del femminismo. A mio avviso non è così. Nora, secondo me, non è e non diventerà mai una donna emancipata perchè ha bisogno di un marito-padre; infatti, ella lascia Helmer solo dopo aver scoperto che lui è un uomo incapace di prendere tutta la responsabilità su di sè. Proprio questa debolezza è la dimostrazione che non è l'uomo "forte" adatto a lei.

Ibsen non è di certo un autore allegro, soprattutto nei punti cardine di gran parte della sua opera, quelli cioè che riguardano la critica serrata della borghesia, formata da persone che lavorano solo per avere denaro, totalmente incapaci di provare amore, perchè anche questo sentimento è un "affare economico". Casa di bambola, oltre ad essere probabilmente la sua opera più famosa, è fondamentale per capire il pensiero di uno degli autori più importanti che la Norvegia abbia mai avuto.

giovedì 26 settembre 2013

Jezabel

Il libro che vi consiglio oggi è Jezabel del 1936 di Irène Némirovsky.

L'opera si apre in un'aula di tribunale: la ricchissima e bellissima Gladys Eysenach è accusata di aver ucciso il giovane amante Bernard Martin. Durante il processo viene tacciata di essere una donna "facile" e una corruttrice della gioventù. Gladys è sofferente e non vuole rispondere ad alcune domande. Dopo gli interventi dei testimoni, il romanzo comincia a narrare la vita della donna fino al delitto da lei commesso. Appena adolescente, Gladys ha capito di essere una donna seducente e, ben presto, si sposa con un uomo molto ricco;  dalla loro unione nasce Marie-Thérèse. Il marito muore e il suo rapporto con la figlia si fa strano: è la giovane Marie, infatti, ad essere la madre tra le due. Gladys desidera solo essere amata dagli uomini e poterli dominare; la sua ossessione più grande, però, è il mantenersi giovane e bella. Quando la figlia le dice di essere innamorata del cugino Olivier e di volerlo sposare, Gladys si oppone perchè, se il matrimonio avvenisse, ella si sentirebbe vecchia (addirittura obbliga Marie a pettinarsi e a vestirsi come una quindicenne anche se di anni ne ha ormai diciotto). Olivier va a parlarle e lei lo supplica di aspettare qualche anno; purtroppo scoppia la Grande Guerra e il nipote muore sul campo di battaglia. Marie è disperata, incolpa la madre della sua infelicità e le confida di essere incinta. La notizia mette in allarme Gladys e sarà proprio questo fatto a complicarle la vita...

La figura di Gladys Eysenach è davvero inquietante: è una donna che ha tutto e pensa solo a se stessa, non curandosi nemmeno di chi le è più vicino. L'unica persona al mondo è lei, una lei giovane e bella. Il titolo dell'opera non è stato scelto a caso: Jezabel (o Gezabele), infatti, è il nome della lussuriosa regina biblica moglie del terribile Achab (la loro storia si trova alla fine del I Libro dei Re e all'inizio del II Libro dei Re). La stessa Némirovsky aveva un pessimo rapporto con la madre e, spesso, le figure femminili, specialmente le madri, da lei descritte sono vuote ed egoiste.

Ho scoperto quest'autrice leggendo Il ballo (un'altra opera che vi consiglio) e mi ha subito colpito per la sua bravura nel saper creare storie e personaggi interessanti. Ovviamente non posso che invitarvi a leggere Jezabel.

mercoledì 18 settembre 2013

Etica / Trattato teologico - politico

Rieccomi a parlare di filosofia. Le opere di oggi sono l'Etica e il Trattato teologico - politico di Baruch Spinoza. Il primo venne pubblicato postumo nel 1677, mentre il secondo apparve ad Amsterdam anonimo nel 1670; l'anonimato, però, durò poco e il Trattato venne interpretato e osteggiato dagli avversari del filosofo perchè ritenuto un compendio di infamia ed empietà.

Nell'Etica, Spinoza parla di conatus: ogni ente (sia corpo che mente) si sforza di mantenersi nello stato in cui si trova, ossia si sforza di conservare se stesso. A livello emotivo, questo sforzo costituisce la cupidità. Lo sforzo può essere agevolato o ostacolato dagli eventi circostanti: se è agevolato, la potenza dell'ente è aumentata, e questo aumento di potenza provoca nella mente un affetto di letizia; se è diminuito, la mente prova un affetto di tristezza. Dalla letizia e dalla tristezza derivano tutti gli altri affetti, cioè le passioni, le quali sono formate da idee inadeguate (cioè non vere) e quindi ognuno le considera a suo modo. Quando abbiamo delle idee adeguate (cioè una conoscenza vera) siamo attivi, cioè la nostra potenza e autonomia sono incrementate; queste idee adeguate sono accompagnate dalla cupidità e dalla letizia. Quindi ciò che sappiamo con certezza accrescere in massimo grado la nostra realtà o perfezione è la conoscenza adeguata stessa. L'uomo che appetisce il vero bene desidera la conoscenza adeguata, e poichè ogni idea adeguata implica l'idea di Dio, l'uomo che ha idee adeguate desidera in primo luogo conoscere Dio (Dio è sostanza, quindi causa immanente del mondo; quest'ultimo infatti non è creato, ma discende dalla natura di Dio. Questa concezione porta al determinismo, cioè che ogni evento non solo si verifica necessariamente, ma questa necessità è assoluta, in quanto coincide con l'essere stesso di Dio). L'uomo che incrementa la propria conoscenza è l'uomo libero, in quanto conosce il meccanismo di cui è un ingranaggio (infatti, come detto poco sopra, Spinoza ha una concezione deterministica; da qui si arriva a capire che il libero arbitrio non esiste, ma che la libertà consiste, appunto, nel capire che posto si ha in un mondo totalmente determinato). Si arriva così alla beatitudine e all'amore intellettuale di Dio. Le passioni, comunque, fanno parte della natura umana, ma, possendendo idee adeguate, si può capire come "sfruttarle" al meglio.
 
Nel Trattato teologico - politico, Spinoza si propone di interpretare la Bibbia applicando le regole che il filologo utilizza nell'interpretazione di qualsiasi altra opera. Per il filosofo olandese, la Scrittura non si propone di insegnare la verità, ma di indurre all'obbedienza. Da ciò deriva che filosofia e teologia non hanno assolutamente niente in comune. Per Spinoza è fondamentale la libertà di pensiero. L'opera passa poi a trattare della nascita dello Stato. Nello stato di natura, il diritto di ognuno è misurato dalla forza; questa vita, però è pericolosa e quindi gli uomini decidono di stipulare un accordo dal quale nasce lo Stato. Perchè il patto sia rispettato, però, ognuno deve cedere tutta la propria potenza, ossia tutto il proprio diritto, al potere comune. Lo Stato spinoziano, a differenza di quello di Hobbes, deve tendere alla libertà e quindi essere moderato. Veramente forte è lo Stato che persegue la libertà dei cittadini e che, in primo luogo, concede la libertà di pensiero e di critica, anche nei confronti delle stesse istituzioni politiche.

Con questa piccola "pillola" spero di aver acceso un po' la vostra curiosità e spero anche di aver esposto il tutto nel modo più chiaro possibile. Spinoza è stato per tutta la vita coerente al suo pensiero e la sua lotta per la libertà è stata immensa: per questo dovrebbe essere letto e approfondito da tutti.

mercoledì 11 settembre 2013

Tristram Shandy

Vita e opinioni del gentiluomo Tristram Shandy è un romanzo del 1759 (anno d'uscita dei primi due volumi; il terzo, il quarto, il quinto e il sesto vennero pubblicati nel 1761, il settimo e l'ottavo nel 1766, mentre l'ultimo, il nono, uscì nel 1767) di Lawrence Sterne.

Il Tristram è considerato come la prima "opera aperta" della letteratura moderna: infatti, tutti gli elementi caratteristici dell'epoca in cui apparve, sono parodiati, rimescolati, creando così qualcosa di unico nel suo genere. Le novità apportate da Sterne sono molteplici. Innanzitutto, i fatti non sono disposti in un ordine logico e i salti temporali sono costanti. Tristram racconta la sua storia in prima persona e lo fa in modo innovativo, in quanto da narratore si trasforma in scrittore: il protagonista del romanzo parla del romanzo che sta scrivendo su se stesso e, raccontandolo, lo scrive. Si ha così quella che in epoca più recente viene chiamata "metanarrativa", cioè una narrativa nella narrativa. Importanti sono i contributi filosofici, specialmente quelli di John Locke.  Da questo pensatore, Sterne riprende le teorie dell'assocciazione delle idee e quella della durata temporale; per Sterne il tempo dipende dalla fantasia e dalla coscienza individuale della mente, arrivando così a considerare la mente e la realtà stessa come disgressive e la narrazione non può che essere disgressiva a sua volta.

Fare un riassunto dell'opera è quasi impossibile. I personaggi principali sono Tristram, il protagonista e narratore, suo padre Walter, uomo pedante, sempre pronto a dare spiegazioni filosofiche su ogni cosa e lo zio Tobia, uomo innocente e ingenuo, perso nel suo mondo fatto di fortificazioni militari. Interessante notare che Tristram deriva dalla parola latina "tristis", cioè "triste", mentre Shandy, nel dialetto dello Yorkshire, significa "visionario, scervellato, pazzo".

Posso affermare con sicurezza che Tristram Shandy è uno dei libri più "assurdi" che io abbia mai letto. L'ironia pervade ogni sua pagina e davvero si ride, nonostante ci sia sempre un fondo di malinconia. Lo consiglio, soprattutto perchè è stato un precursore di molta letteratura moderna e un ottimo continuatore di Cervantes e Rabelais.

venerdì 30 agosto 2013

Storia di una capinera

Storia di una capinera è un romanzo in forma epistolare del 1869 di Giovanni Verga.

Maria esce dal convento in cui viene educata per trascorrere un'estate con il padre e la matrigna. Durante questa "vacanza", la giovane protagonista commette un peccato che segna l'inizio dei suoi turbamenti e che la porterà alla tragica conclusione della sua storia: essa è colpevole di aver ballato col bel Nino durante una festa e di aver desiderato di abbracciarlo. Nino, però, sposa la sorellastra di lei, la capricciosa Giuditta. Maria è innamorata del giovane e non riesce a darsi pace, nonostante continui a dirsi che è peccato e che lei è fatta per il chiostro.

La storia, all'apparenza semplice, è quella di una ragazza che tenta di reprimere i suoi istinti naturali: ella mente a se stessa coprendo i suoi pensieri e gesti con un apparente senso di innocenza come, ad esempio, quando confida di voler abbracciare Nino "fraternamente". In realtà, la sua è una vera e propria nevrosi, che si manifesta in diversi episodi in cui traspaiono le sue fantasie sadiche (ad esempio, mentre pettina i capelli della sorella, desidera di vederglieli recisi come i suoi). Maria confida tutti i suoi dolori nelle lettere che invia all'amica Marianna; quest'ultima è un personaggio importante perchè rappresenta il suo "doppio": Maria vede in lei una se stessa appagata, felice, gratificata. Grazie a Marianna, Maria può sognare.

Con questo romanzo, Verga si rifà alla cultura tardoromantica (basti pensare al lato patetico e sentimentale della vicenda), ma unisce anche dei tratti più innovativi, come nello svolgimento del dramma della monacazione coatta a cui Maria non riesce a sfuggire.

Nonostante non rientri nei romanzi della maturità artistica del Verga, Storia di una capinera è un'opera che deve essere letta per capire come l'autore sia arrivato al grande "ciclo dei vinti".

venerdì 23 agosto 2013

Demetrio Pianelli

Demetrio Pianelli è un romanzo del 1890 dell'autore milanese Emilio De Marchi, uscito su "L'Italia" nel settembre del 1888, con il titolo La bella pigotta (La bella bambola).

Cesarino Pianelli, soprannominato Lord Cosmetico per la cura che mette nell'apparire, è un impiegato delle Poste di Milano e fondatore del Circolo Monsù Travet (Circolo degli impiegati, dalla commedia di Vittorio Bersezio Le miserie d'Monssù Travet, 1863). Egli è sposato con la più bella donna della città, Beatrice Chiesa di Melegnano, e ha tre figli, la più grande dei quali è Arabella; per far vivere la sua famiglia nel lusso spende oltre le proprie possibilità. Durante il Carnevale, Cesarino sta organizzando una festa per il suo Circolo, ma, sfortunatamente, perde tutti i soldi suoi e dei soci al gioco; non sapendo come fare per pagarla, preleva del denaro dalle Poste, approfittando della mancanza del collega Martini. L'imbroglio viene scoperto e, per non essere accusato e oppresso dal pensiero della conseguente infamia, decide di suicidarsi la sera stessa della festa. E qui compare il fratello Demetrio, colui sul quale ricadono tutti i debiti e la cura della famiglia del defunto. Demetrio è l'opposto di Cesarino: egli è un campagnolo, una persona semplice, un grande lavoratore che conduce una vita modesta, spendendo con parsimonia i pochi denari guadagnati con fatica. Beatrice, viziata per tanti anni dal marito, non riesce a capire il cognato e, d'altra parte, Demetrio non riesce a comprendere quella donna che trova stupida e vuota. Le cose però cambieranno e le vite di tutti i personaggi del romanzo non saranno più quelle di prima.

Demetrio Pianelli è un'opera che risente degli influssi del Manzoni, del Verismo e della Scapigliatura, ma, nonostante questo, è originale e ben scritta. L'unica pecca, secondo me, è la poco accurata indagine psicologica dei personaggi, ma forse non era nemmeno nelle intenzioni del suo autore. De Marchi, inoltre, ha pubblicato due seguiti del Demetrio, Arabella (1892) e Giacomo l'idealista (1897), con lo scopo di creare un ciclo basato sul paesaggio (bellissime le descrizioni di Milano, della campagna lombarda e anche dei luoghi chiusi) e sui piccoli quadri di vita quotidiana.

Con Demetrio Pianelli ho conosciuto un nuovo autore che merita di essere letto e spero che la mia pillola, se non lo conoscete di già, vi porti a scoprirlo.

martedì 20 agosto 2013

Alice nel paese delle meraviglie / Attraverso lo specchio

Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò sono due opere, collegate tra loro, dell'autore inglese Lewis Carroll (pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson). Alice fu scritto nel 1862 e poi pubblicato dall'editore londinese Macmillan nel 1863, con le illustrazioni di John Tenniel, uno dei più quotati disegnatori del tempo (che illustrerà anche Attraverrso lo specchio nel 1871). Il primo titolo dell'opera era Alice's Adventures Under Ground, poi cambiato nel titolo che la ha resa famosa.

Una premessa è necessaria. Carroll era un insegnante di matematica al Christ Church College di Oxford (uno dei più prestigiosi colleges inglesi). Egli, a detta dei suoi studenti, era un uomo noioso, pedante e balbuziente: ai ragazzi non piaceva e a lui non piacevano i ragazzi. Nonostante questo era un matematico notevole (importanti sono i suoi trattati sulla materia), un ingegnoso inventore e un grandissimo esperto di fotografia. Le uniche persone con cui sapeva essere divertente e con le quali non balbettava erano le bambine; Carroll, infatti, le invitava a casa, le fotografava, giocava e conversava con loro. Alice è nato proprio per delle bambine sue amiche: le tre sorelline Liddel, Lorina, Alice e Edith, figlie del decano del Christ Church. Il 4 luglio, durante una gita in barca sul fiume Isis, Carroll inventò la storia di questa ragazzina, Alice, chiamandola così in onore della secondogenita dei Liddel, che quel giorno compiva dieci anni. Le bambine rimasero incantate dal racconto e pregarono il loro accompagnatore di scriverlo; Carroll esaudì il loro desiderio e aggiunse, inizialmente, dei disegni fatti di suo pugno. Dopo la vera e propria pubblicazione, regalò la prima copia dell'opera ad Alice Liddel e la seconda alla principessina Beatrice, la secondogenita della regina Vittoria.

Alice e Attraverso lo specchio sono racconti in cui predominano il nonsense e i giochi di parole, dati soprattutto dalla storpiatura di diverse poesie infantili. Essi, inoltre, rompono con la tradizione dei racconti "classici" per la fanciullezza: questi dovevano insegnare le virtù, mentre le opere di Carroll ne fanno una parodia. L'unica morale di Alice è quella del divertimento, del piacere: la giovane protagonista diventa così il simbolo dell'infanzia libera. Moltissime sono le spiegazioni che diversi studiosi hanno cercato di dare a queste opere e agli strani personaggi che le popolano; una di queste è che esse simboleggino il passaggio doloroso dall'età infantile a quella adulta.

Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio non sono solo opere per l'infanzia e infatti andrebbero rilette anche da grandi. Per Virginia Woolf Alice è un libro che aiuta gli adulti a diventare bambini. Come darle torto?  

lunedì 12 agosto 2013

Il suono della montagna

Nuova "pillola" riguardante il Giappone. Il romanzo di oggi è Il suono della montagna (1949) di Yasunari Kawabata. Questo autore è uno degli scrittori più importanti del Sol Levante, primo giapponese a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura nel 1968 e grande ammiratore e amico di Yukio Mishima. La sua produzione è molto ampia e, insieme con altri autori, ha dato vita al movimento d'avanguardia Shinkankakuha ("Movimento Neopercettivista"), il cui scopo era quello di cogliere la realtà attraverso l'immediatezza delle sensazioni.

Il romanzo si concentra sulla storia di una famiglia e in particolar modo sul suo componente più anziano, Shingo. Egli è un uomo sensibile, assorto nei suoi sogni (i quali hanno un ruolo centrale per la sua vita) e nel passato. Shingo non ama la moglie Yasuko (era innamorato infatti della sorella di lei, morta molti anni prima); il figlio Shuichi ha problemi di alcol, mantiene un'amante e non dimostra affetto verso la consorte Kikuko; la figlia Fusako si rifugia nella sua casa con le sue due figlie perchè vuole divorziare dal marito spacciatore. In questo clima di decadenza familiare, Shingo si lega sempre di più alla nuora Kikuko, donna fragile ma molto intelligente. In tutto il romanzo un ruolo predominante lo ha la natura e in particolare il suono della montagna che dà il titolo al libro: "Somigliava al suono del vento lontano, ma aveva una forza profonda come se si trattasse dei rimbombi della terra. Pareva quasi che qualcosa risuonasse nel suo capo. Per un attimo Shingo pensò che era il suo orecchio che ronzava e, per accertarsene, scosse la testa. Il suono cessò. Dopo che il suono era cessato, per la prima volta Shingo ebbe paura. Rabbrividì pensando che forse era il preannuncio della morte".

Il suono della montagna è scritto in modo asciutto, "giornalistico". Gli stati d'animo dei protagonisti si intuiscono dai loro gesti, dalle loro parole e da come percepiscono la natura che li circonda: mai, però, ci sono emozioni forti o improvvise (dai romanzi che ho letto sembra proprio una caratteristica specifica del popolo giapponese, ma le mie letture di questo paese non sono state molte e quindi è solo una mia supposizione).

Il suono della montagna è un'opera malinconica, scandita dal passare delle stagioni, dalle abitudini di Shingo e della sua famiglia e dal dolore che tutti i personaggi provano nel fondo del loro cuore. 

lunedì 5 agosto 2013

Storia di Genji

Storia di Genji. Il principe splendente è un romanzo di Murasaki Shikibu, scritto poco dopo l'anno mille. Dell'autrice si hanno poche notizie; è certo comunque che fosse una nyobo, cioè una donna facente parte delle dame di corte.

I primi quarantuno capitoli raccontano le vicende di Genji dalla sua nascita fino alla morte (il romanzo consta di altri tredici capitoli che narrano la storia dei suoi discendenti, ma la mia versione, quella nella foto, si ferma con la morte del protagonista, perchè il seguito è pubblicato da un altro autore). Genji è bellissimo, intelligente, versato nella poesia e nella musica: incarna il modello giapponese dell'uomo perfetto. Egli è figlio dell'Imperatore e della concubina Kiritsubo; non essendo nato dalla moglie "ufficiale" del sovrano egli non può far parte della famiglia imperiale, ma è comunque il favorito del padre e la sua carriera sarà brillantissima. Genji ha una grande libertà, soprattutto in ambito amoroso: il libro racconta, accanto alla sua ascesa politica, proprio le sue innumerevoli conquiste. La storia è lineare, scritta cioè nello stile tipico del monogatari ("racconto di cose"). Questo non significa che l'opera sia piatta, anzi, è estremamente sofisticata a livello stilistico, con le sue continue riprese di alcuni fatti in diversi capitoli, con l'uso dell'ironia ecc.

Importantissima è la religione: Buddhismo, Shintoismo e Confucianesimo pervadono l'intera opera. La vita dei personaggi è scandita dai cerimoniali e da una visione dell'esistenza tipici del Buddhismo. Sempre da questa religione è preso il tema fondamentale del karma: ogni colpa commessa dai vari personaggi del romanzo, prima fra tutti quella di Genji, produce un effetto; ogni disgrazia, quindi, è il risultato di azioni negative commesse in questa o in una vita precedente.
 
La Storia di Genji è un classico della letteratura giapponese, importante per la comprensione del passato di questo paese così distante da noi. La bellezza del testo, la presenza costante della natura che indica il mutare delle stagioni e la complessità di alcuni personaggi lo rendono unico. Da non dimenticare che è stato scritto da una donna in un tempo e in un luogo in cui i maschi predominavano, anche se Murasaki Shikibu non è stata l'unica grande scrittrice dell'epoca Heian.

mercoledì 31 luglio 2013

L'Anticristo

L'Anticristo è un'opera del filosofo Friedrich Nietzsche del 1888, pubblicata nel 1895.

In questo testo due sono i concetti strettamente legati tra loro: quello della morale e quello del nichilismo. Nella filosofia "tradizionale" essi sono concetti antitetici; per Nietzsche, invece, la morale stessa è nichilismo, è nulla, è menzogna! La morale, quindi la religione, si allontana totalmente dalla realtà, creando un mondo trascendente completamente finto e proprio in questo distacco della morale dalla realtà consiste il nichilismo.
 
La morale nasce dalla pretesa di salvare ciò che sta morendo. Il Dio degli Ebrei era un dio legato alla realtà, perchè era concepito antropomorficamente. Quando questa visione venne meno, i sacerdoti ebrei non vollero abbandonare il concetto di Dio e perciò lo "ricrearono", facendolo diventare trascendente e "morale". La moralità e la purezza di questo nuovo Dio sono la dimostrazione che esso non è più reale: queste caratteristiche si fondano quindi sulla sua morte (concetto già espresso ne La gaia scienza, nell'aforisma 125, dove l'"uomo folle" annuncia proprio questo: "Gott ist tot!"). Il Cristianesimo è la continuazione dell'Ebraismo. Per Nietzsche questa religione si fonda sul risentimento: i discepoli di Gesù, e in particolare Paolo di Tarso, rimasti spiazzati dalla morte del loro "maestro", risentiti quindi dalla realtà, hanno deciso di riscattare la sua "sconfitta" ignominiosa, creando il "regno dei cieli". Facendo questo hanno completamente travisato il messaggio evangelico di Gesù. Il Protestantesimo, infine, è la peggiore religione in assoluto. In Italia, durante il periodo della Riforma, c'era la più grande manifestazione della volontà di potenza (cioè di vita, di istinto), basata sulla totale mancanza di elementi metafisici: il Rinascimento; Lutero, con la sua voglia di purificazione della Chiesa, lo ha ucciso. Solo lo scetticismo può aiutare a smascherare tutte queste imposture, a patto che non si trasformi esso stesso in una legge.
 
L'Anticristo è una delle opere di Niezsche più estreme, dove il suo ateismo risulta totale, in quanto colpisce direttamente il concetto stesso di Dio. Dal rifiuto della morale, e quindi dal superamento del nichilismo, si arriverà all'eterno ritorno, cioè quel movimento della volontà che vuole togliere dal passato la metafisica, e poi al celebre Ubermensch, "l'oltre-uomo", cioè l'uomo che riesce a liberarsi dalla natura trascendente che gli è stata imposta.

venerdì 26 luglio 2013

Netocka Nezvanova

Il romanzo Netocka Nezvanova venne pubblicato sulla rivista "Annali Patrii" nel 1849, ma rimase incompiuto perchè Fedor Dostoevskij venne arrestato e deportato. L'autore, successivamente, lo riprese in mano e lo sistemò in alcuni punti, ma decise comunque di non concluderlo. Questo è il primo tentativo di grande romanzo compiuto da Dostoevskij.
 
Netocka narra in prima persona la sua storia, dall'infanzia fino alla giovinezza (momento in cui si interrompe lo scritto). Il romanzo si apre con il racconto della vita del suo patrigno Efimov, musicista geniale ma fallito (biografia che le è stata riferita dall'amico e collega di questi, B.). Il primo ricordo di Netocka è quello della prima carezza datagli proprio dal patrigno e della conseguente scoperta dell'"infinito amore" per lui (non a caso ella lo difende sempre con la madre e il loro rapporto sembra quasi incestuoso). L'infanzia di Netocka, comunque, è segnata dalla miseria, dall'ubriachezza, dalla rabbia del patrigno che, per giustificare il proprio fallimento, incolpa la moglie. Tutto questo finisce nel peggior modo possibile. Netocka passa così l'adolescenza nella casa del principe Ch...ij, dove, successivamente, si lega con una profonda amicizia  alla figlia di questi, la principessina Katja. Anche qui il rapporto che lega le due è molto strano, quasi morboso, per l'eccessivo attaccamento mostrato con baci e carezze costanti. Netocka ha bisogno di affetto ed è questa la causa dei suoi comportamenti. Anche questa vita non dura a lungo e la giovane adolescente deve trasferirsi nella casa di Aleksandra Michajlovna, figlia di primo letto della moglie del principe. Tra Aleksandra e il marito Petr Aleksandrovic c'è un segreto che tormenta il loro rapporto: lei aveva un amante e lui, recitando la parte dell'uomo offeso, glielo rinfaccia costantemente per aumentarle il dolore.
 
Nonostante Netocka Nezvanova sia incompiuto, la storia non risente affatto di questa brusca interruzione. La grandezza di Dostoevskij è già tutta qui: la psicologia di Netocka, in tutte le fasi della crescita (infanzia, adolescenza e giovinezza) è scandagliata perfettamente e accurate sono le descrizioni dei gesti connessi ai suoi bisogni inconsci.  

Netocka Nezvanova dovrebbe essere valorizzato di più perchè, nonostante sia in alcuni punti "debole", è comunque una dimostrazione del genio di Dostoevskij, il quale si svilupperà maggiormente nei grandi romanzi della maturità dell'autore.

domenica 21 luglio 2013

La steppa. Storia di un viaggio

La steppa. Storia di un viaggio è un racconto del 1888 di Anton Pavlovic Checov. A quest'opera Checov lavorò moltissimo e apportò delle modifiche anche dopo la prima pubblicazione avvenuta sul Severnij Vestnik, "Il Messaggero del Nord", di Pietroburgo.
 
Egoruska parte per entrare al ginnasio con lo zio Ivan Ivanic Kuzmicev e padre Critoforo, i quali devono vendere della lana, alla volta della città. Durante il viaggio, il piccolo Egoruska viene affidato ad un convoglio di portatori di lana diretti nella stessa direzione, per poi potersi ricongiungere con lo zio e padre Cristoforo in città. Da qui la narrazione procede lenta, la vita degli accompagnatori di Egoruska è scandita dal mangiare e dal dormire, non succede nulla di particolare. La bellezza di questa descrizione è quella di mostrare la vera steppa, questo luogo immenso e desolato, in cui è la natura a farla da padrone. Il piccolo Egoruska si annoia, ma, nello stesso tempo, è come rapito dal paesaggio che lo circonda. Ogni capitolo che compone questo lungo racconto è come una storia a sè, totalmente compiuto ed è lo stesso Checov a dirlo: "La steppa non assomiglia a un racconto, ma a un'enciclopedia della steppa. Ogni singolo capitolo forma un racconto a sè, e tutti i capitoli sono legati fra loro come le cinque figure della quadriglia, per intima parentela. Così ogni pagina vien fuori compatta come un piccolo racconto...".
 
Dal breve riassunto che ho fatto sembra un'opera "poco interessante", ma posso assicurare che non lo è, anzi, sembra di essere in viaggio con Egoruska e con i suoi compagni: si è totalmente trascinati dal ritmo cullante della narrazione. Con questo racconto, inoltre, si passa dall'"umorismo" che contraddistingue i lavori precedenti dello scrittore, ai grandi racconti dell'età matura che fanno scorgere, dietro un'apparente giocosità, il dolore della vita umana.
 
La steppa. Storia di un viaggio è un capitolo fondamentale nella vasta produzione di Checov. Un cruccio dello scrittore è quello di non essere mai riuscito a scrivere un grande romanzo, ma per me quest'opera può benissimo essere la prova che il romanzo che tanto sognava sarebbe stato di sicuro un capolavoro!

domenica 14 luglio 2013

Uno, nessuno e centomila

Uno, nesssuno e centomila è un romanzo, apparso tra il 1925 e il 1926 sul settimanale "La fiera letteraria" e poi pubblicato in volume nel 1926, di Luigi Pirandello.
 
La vita di Vitangelo Moscarda viene stravolta a partire da un'osservazione della moglie, la quale gli fa notare una serie di lievi difetti fisici. Vitangelo comincia a ragionare che se la moglie, sotto l'aspetto fisico, lo vede diversamente da come egli crede di essere, ciò accadrà anche per gli altri suoi conoscenti e ancora di più per ciò che riguarda la sua interiorità. Ci sono dunque tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono, a seconda dei momenti, delle disposizioni di ciascuno, ecc. Scopre così di essere per sè "nessuno" perchè l'unità della sua persona si scinde nelle "centomila" immagini che egli offre di sè agli altri. Vitangelo cerca, attraverso degli atti che sembrano folli, di svincolarsi dai giudizi e dalle impressioni altrui, i quali sono sempre parziali e soggettivi, per affermare, attraverso un atto di libera volontà, la propria autentica personalità. Nella parte finale del romanzo, che è narrato in prima persona proprio da Moscarda, il protagonista fa un'importante distinzione tra "vivere" e "conoscere": la vita si muove di continuo, non può essere fissata, non riesce mai a vedere veramente se stessa; al contrario, conoscere è bloccarsi, è avere una visione parziale di come si è prendendola per assoluta, non è la vera vita.
 
Uno, nessuno e centomila è un romanzo sulla solitudine dell'uomo, ma è anche l'accettazione della scomposizione della personalità, quindi è un accettare se stessi liberandosi da tutti i vincoli a cui siamo sottoposti, diventando cioè capaci di vivere senza giudizi o condizionamenti di sorta.
 
Consiglio la lettura di questo breve romanzo perchè apre la mente a degli interrogativi che difficilmente ci poniamo, ma che poi capiamo essere fondamentali per comprendere la nostra vita e ciò che ci circonda.

lunedì 8 luglio 2013

Io sono leggenda

Io sono leggenda è un romanzo del 1954 scritto da Richard Matheson.

Robert Neville è l'unico uomo rimasto sulla Terra: il pianeta, infatti, è stato colpito da un virus che ha "trasformato" tutti in vampiri. Robert vive da solo, barricato in casa e può muoversi solo di giorno, l'unico momento in cui i vampiri sono inoffensivi in quanto sembrano cadere in una specie di coma. L'epidemia gli ha portato via moglie e figlia e il dolore riesce ad attutirsi solo dopo degli anni. In questo periodo Robert ha trasformato la sua casa in una fortezza, in modo da non essere attaccato dagli infetti e, man mano che passa il tempo, comincia a convivere con la sua solitudine. Robert, inoltre, occupa il suo tempo cercando di studiare il più possibile per trovare una spiegazione a quello che è accaduto e una cura al male.

La trama è interessante e il romanzo è scritto in modo asciutto e diretto. Ciò che interessa a Matheson è descrivere l'angoscia provata da Robert Neville, la sua solitudine e il mondo ordinato che cerca di costruirsi intorno per non lasciarsi andare. La psicologia di questo personaggio è scandagliata alla perfezione.

Matheson ha scritto diverse sceneggiature per film importanti e dai suoi romanzi sono stati tratti diversi adattamenti cinematografici. Proprio qualche anno fa è uscita la più recente versione cinematografica di Io sono leggenda con protagonista Will Smith: il film non mi era piaciuto e, dopo aver letto il romanzo, posso ribadirlo con maggior sicurezza. Inoltre, ci sono troppi stravolgimenti della storia originale. Esistono altre due versioni cinematografiche che però non ho mai visto: una è L'ultimo uomo sulla Terra del 1964 e l'altro è 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra del 1971.

Matheson è stato definito uno degli scrittori più importanti del secolo passato e la sua influenza è palese in autori come Stephen King.

Assolutamente consigliato!

lunedì 1 luglio 2013

Ulisse

Ulisse è un romanzo di James Joyce edito a Parigi nel 1922 e pubblicato nei paesi anglosassoni solo nel 1933. Quest'opera è costruita secondo lo schema dell'Odissea e da qui il titolo.
 
Il romanzo è ambientato a Dublino e tutta la vicenda si svolge il 16 giugno 1904. I protagonisti sono Leopold Bloom, l'"Ulisse moderno", il giovane Stephen Dedalus (personaggio già protagonista dell'opera Ritratto dell'artista giovane), che corrisponde a Telemaco, e, in parte, Molly Bloom, moglie di Leopold e che si può paragonare a Penelope. Bloom ospita, al termine di questa lunga giornata, Dedalus in casa sua; il primo è alla ricerca di un "figlio" (il suo unico figlio maschio è morto molti anni prima), mentre il secondo è alla ricerca di un "padre". Joyce, comunque, non è molto interessato alla storia, ma alla struttura del testo: ogni episodio si svolge in una determinata ora del giorno e corrisponde a un canto dell'Odissea; ogni episodio, inoltre, ha il suo centro di sensazioni in una determinata parte del corpo umano ed è contraddistinto da un particolare simbolo; il linguaggio e lo stile cambiano a seconda dell'argomento trattato (per comprendere meglio questi punti, si veda la Guida alla lettura, dove ci sono gli schemi dell'opera scritti da Joyce). Il romanzo raffigura "l'odissea" di due uomini comuni nel corso di una giornata e per questo Joyce si sofferma sulle vicende e sui pensieri dei diversi personaggi. Grande rilevanza ha il capitolo conclusivo dove si trova il celebre monologo interiore di Molly Bloom, la quale, a differenza della Penelope omerica, non è per niente fedele al marito, ma a lui comunque sempre ritorna.
 
Ulisse è decisamente un'opera molto difficile e, a mio avviso, inutilmente lunga. Mi spiego meglio. L'idea dell'opera è geniale ma alcune parti, sempre secondo me, sono troppo ampie e poco pertinenti, non solo con la storia, ma con la struttura stessa del romanzo. Sembra quasi che Joyce si stesse cimentando in un lungo esercizio tecnico. In ogni caso Ulisse è una delle maggiori opere del Novecento e sarebbe bene leggerla, anche se ci vuole molta pazienza.

lunedì 24 giugno 2013

La coscienza di Zeno

La coscienza di Zeno è il terzo romanzo di Italo Svevo, scritto tra il 1919 e il 1922. All'inizio l'opera è stata accolta con indifferenza, ma, grazie agli interventi di Montale, Joyce, Crémieux e Larbaud, è riuscita ad affermarsi come uno dei più grandi capolavori della letteratura del Novecento.

Zeno Cosini scrive, sollecitato dal suo psicanalista, la sua autobiografia; le sue memorie sono radunate in blocchi narrativi che riguardano gli episodi più significativi della sua vita. Dopo la prefazione del Dottor S. (che pubblica questi scritti come vendetta per l'abbandono della terapia da parte di Zeno) comincia il primo capitolo "Il fumo": per Zeno il fumo è simbolo di libertà e da questo deriva il piacere del concedersi "l'ultima sigaretta": partendo dal presupposto che sarà l'ultima, egli la assapora maggiormente e sa che la successiva sarà altrettanto piacevole perchè rompe il divieto che si era imposto. Il secondo capitolo è dedicato al padre: Zeno racconta il difficile rapporto con il genitore che lo rimproverava sempre per la sua indolenza e, allo stesso tempo, fa emergere il suo rimorso per il poco affetto dato. "La storia del mio matrimonio" riguarda la sua improvvisa voglia di sposarsi: egli decide di sposare Ada, la figlia maggiore di Giovanni Malfenti; dopo il rifiuto di lei, egli prova con l'altra sorella dalla quale riceve un altro no, e, finalmente, la sua proposta viene accettata dall'ultima sorella in età da marito, Augusta. In "La moglie e l'amante" Zeno mette a nudo i suoi sentimenti contrastanti per le due donne: Zeno ama Augusta, ma l'avere un'amante lo fa sentire libero. L'ultimo capitolo descrive la sua attività commerciale con il cognato Guido, che si conclude con la morte di quest'ultimo. Zeno però, nonostante sia un inetto, risolleva le sorti della sua attività e si guadagna così il rispetto.

Svevo è riuscito a costruire un personaggio complesso, pieno di contraddizioni, ma capace comunque di una vera e propria autoanalisi. All'interno del romanzo non mancano le parti ironiche e le critiche alla psicoanalisi. La lettura è scorrevole e entrare nella mente di Zeno Cosini è un'esperienza unica e spesso "divertente", in quanto egli è imprevedibile e pieno di sorprese.

Gli autori citati all'inizio di questa "pillola" hanno capito, per fortuna, l'importanza di quest'opera: se essa fosse rimasta nell'ombra ci saremmo persi un vero capolavoro! 

martedì 18 giugno 2013

Il processo

Il processo è un romanzo dello scrittore ceco Franz Kafka, pubblicato postumo nel 1925 dall'amico Max Brod, il quale ha così disobbedito alla volontà dell'autore che aveva chiesto di bruciare tutti i suoi scritti alla sua morte. Orson Welles ha fatto un ottimo adattamento cinematografico di quest'opera nel 1962.
 
Il processo si apre con l'arresto dell'impiegato Josef K. nel giorno del suo trentesimo compleanno. K. è sorpreso perchè non ha fatto nulla di male e pensa di essere vittima di uno scherzo o di una calunnia. Egli può comunque continuare a lavorare, ma deve rendere conto delle proprie azioni al tribunale. All'inizio egli non dà molta importanza alla cosa, ma pian piano in lui si sviluppa un'ossessione sempre crescente per questo processo: egli gira per la città in cerca di aiuto per la sua difesa, ma ben presto si rende conto del suo isolamento e di vivere in un immenso tribunale dove tutti sono spettatori e giudici. Quando K. capisce che tutto fuori di lui è processo e che lui stesso ne è parte, si rassegna alla sua inevitabile condanna a morte. Significative sono le sue ultime parole mentre viene ucciso: "Come un cane!".
 
La solitudine di K., il suo isolamento durante tutta la vicenda, si trasmettono anche al lettore: Kafka descrive palazzi enormi pieni di stanze piene e soffocanti, la cui caratteristica principale è la mancanza di aria. Le domande di K. rimangono senza risposta per tutto il romanzo: egli è solo, alienato, inetto all'azione. La vita, secondo Kafka, è guidata dal fato secondo meccanismi ciechi e verso una destinazione inconoscibile. La colpa di K., come quella di tutti noi, sembra essere quella di essere venuto al mondo.
 
Kafka, ne Il processo, riesce a descrivere in modo ossessivo tutta la drammaticità della condizione umana.

sabato 15 giugno 2013

La campana di vetro

La campana di vetro è l'unico romanzo della poetessa americana Sylva Plath, pubblicato poco prima della sua morte nel 1963.

Per comprendere l'opera di Sylvia Plath è necessario conoscere la sua biografia: la sua storia personale ha enormemente influito sulla sua produzione letteraria e La campana di vetro non fa eccezione. 
 
Questo romanzo è diviso in tre grandi blocchi: nel primo, Esther, la giovane protagonista dell'opera, si trova a New York dove fa la sua esperienza di praticantato presso una rivista di moda (la Plath lo fece nel 1953 presso il periodico "Mademoiselle"); il secondo tratta del periodo della malattia, della depressione e dell'incapacità di trovare la sua strada; l'ultimo blocco descrive la riabilitazione, quella che dovrebbe riportarla alla "normalità". Sylvia Plath soffrì per tutta la vita come il personaggio da lei creato, soprattutto in seguito alla morte del padre, uomo che non le ha mai dato affetto e morto quando la poetessa aveva solo otto anni (vedi la poesia "Papà" nella raccolta "Ariel"); il suo estremo bisogno di affetto, di essere sempre la più brava sono perfettamente descritti nelle pagine di quest'opera. Come la protagonista, anche Sylvia subì diversi elettroshock; dalle sue parole si comprende l'orrore di questo metodo di cura. Interessante notare che, all'inizio e alla fine del romanzo, si parli dei Rosemberg, la coppia condannata per spionaggio alla sedia elettrica e giustiziata il 19 giugno 1953: la condanna a morte e l'elettroshock sembrano collegarsi, in quanto molto simili nelle loro procedure. Il tentato suicidio di Esther può essere visto come un confronto con la morte più che un desiderio di morte.
 
La campana di vetro nella quale Esther vive è quella dell'alienazione, del condizionamento; la malattia, che si contrappone alla normalità, data ad esempio dalla famiglia di Buddy, il "suo ragazzo", è un rifiuto di ciò che la circonda. La giovane, infatti, rifiuta l'appagamento e la gratificazione immediate che le vengono insegnate a New York, rifiuta il rapporto con Buddy e rifiuta quella che viene considerata una "normale" iniziazione sessuale dalla borghesia di cui fa parte. Solo durante la riabilitazione, Esther dovrà confrontarsi con ciò che sta al di fuori della campana di vetro, attraverso un processo di conoscenza e di comprensione di sè e degli altri.
 
La campana di vetro è un libro crudo, diretto, totalmente autobiografico: attraverso la sua lettura si può entrare nel mondo disperato di Sylvia Plath.

domenica 9 giugno 2013

L'urlo e il furore

William Faulkner è uno degli scrittori più importanti del '900 americano, conosciuto anche nel cinema per le numerose scenografie da lui scritte.  L'urlo e il furore è un romanzo del 1929. Il titolo dell'opera deriva dal Macbeth di Shakespeare dove la vita viene definita un "racconto detto da un idiota, pieno di urlo e di furore, che non significa nulla". (Atto V, Scena V).
 
L'urlo e il furore racconta la storia e il fallimento della famiglia Compson, composta da una madre malata e lamentosa, da un padre alcolista e da quattro figli: Benjamin, Quentin, Caddy e Jason. Con i Compson vive una famiglia di colore, alla cui guida c'è Dilsey,  i cui membri aiutano nella gestione della casa e nel badare a Benjamin, che tutti chiamano "lo scemo" perchè sordomuto e ritardato. Quentin è innamorato della sorella Caddy e per lei si mantiene puro, mentre Caddy, nonostante provi un grandissimo affetto per il fratello, è una ragazza "facile", che rimane incinta e si sposa con un uomo che non lo sa per nascondere la "vergogna". Quentin va ad Harvard, ma non si libererà mai dal pensiero del suo incesto verso la sorella. Jason, invece, è un uomo frustrato, che non ha mai potuto studiare e che è costretto a lavorare in una bottega in città per mantenere la madre e la servitù; il suo rancore non risparmia nessuno e infatti ce l'ha con la sua  famiglia, i "negri" e gli ebrei della borsa di New York. Jason è costretto a mantenere anche Quentin, la figlia di Caddy a cui è stato dato il nome dello zio: il suo rapporto con la nipote è teso e la ragazza porterà via tutto quello a cui Jason tiene di più.
 
Il romanzo è diviso in quattro grandi capitoli e da un'appendice. Nel primo capitolo è Benjamin a narrare, nel secondo Quentin e nel terzo Jason. Faulkner è stato incredibile a creare in modo così vivido l'immagine di ognuno dei tre personaggi attraverso le loro parole. La narrazione, a causa di questa tecnica, non ha un filo logico, in quanto ogni personaggio segue il corso dei suoi pensieri, con continue disgressioni. Questo rende il libro difficile e "pesante". L'ultimo capitolo, invece, è scritto in terza persona e narra gli ultimi fatti, con particolare attenzione a Dilsey, la serva nera che ha sempre aiutato la famiglia, l'unica in tutto il libro ad avere dei veri sentimenti di amore disinteressato verso gli altri. L'appendice traccia un piccolo quadro dei membri della famiglia Compson, dal fondatore della stirpe fino all'ultimo componente.
 
L'urlo e il furore è sicuramente un romanzo difficile, ma vale la pena di portarlo a termine perchè, oltre alla soddisfazione di essere riusciti a superare l'impresa, si capisce il grande talento e la grande abilità di Faulkner.