Antonio
José Bolivar Proano si trasferisce con la moglie a El Idilio; dopo
la morte di lei, José va a vivere nella foresta insieme agli indios
shuar, i quali gli insegnano a vivere in un ambiente inospitale e gli
fanno comprendere la natura che lo circonda. Nonostante il suo legame
con questa popolazione, egli non può essere uno di loro e un errore
commesso in un momento critico lo porta ad essere esiliato. Tornato a
El Idilio vive da solo, continuando a mettere in pratica gli
insegnamenti ricevuti nella foresta e acquistando prestigio agli
occhi dei coloni per la sua conoscenza del luogo. Un giorno, però,
la sua calma ancorata nei ricordi viene interrotta dal ritrovamento
di un cadavere dilaniato da un tigrillo. Antonio capisce che
l'animale è addolorato perché il gringo morto gli ha ucciso i
cuccioli e ferito il compagno, portandolo a vendicarsi su ogni uomo
che incontra. Per porre fine alla rabbia del tigrillo, il sindaco
convince Antonio ad occuparsi della faccenda. L'incontro con la belva
selvaggia, in realtà, non è altro che una metafora, in quanto la
lotta di Antonio non è contro di lei, ma contro se stesso e contro
ogni uomo che osa compiere scempi di ogni sorta nei confronti della
natura.
Questo
breve romanzo è un capolavoro di denuncia contro le inutili violenze
dell'uomo che non fanno altro che alterare il normale corso della
natura, cosa che gli shuar sanno bene. Antonio lascia di sé un
ricordo di forza, ma anche di malinconia, e soprattutto di voglia di
sognare, come quando cerca di estraniarsi da tutto leggendo i suoi
romanzi d'amore e immergendosi nei ricordi ormai lontani, ma che non
può lasciar andare.
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