Torniamo indietro nel tempo per
parlare di una delle più grandi opere del III secolo avanti Cristo:
Le Argonautiche di Apollonio
Rodio.
Il
re Pelia apprende da un oracolo che il suo potere è in pericolo a
causa del nipote Giasone: per toglierlo di mezzo decide di mandarlo
in Colchide per recuperare il famoso vello d'oro. Pelia sa che il
viaggio è faticoso e che il terribile re Eeta non acconsentirà mai
a venire espropriato del suo prezioso avere. Gli dei però sono
favorevoli a Giasone e Atena interviene nella costruzione di Argo, la
grande nave che dovrà portare nella lontana Colchide i maggiori eroi
greci del tempo. Dopo aver completato la nave e aver deciso chi
parteciperà all'operazione, si deve scegliere un capo e questo
titolo viene conferito proprio a Giasone. Il viaggio di andata è
ricco di avventure e durante la traversata alcuni eroi abbandonano la
spedizione, come Eracle, il cui destino è un altro. Giunti in
Colchide, Giasone si reca da Eeta e cerca di ottenere il vello senza
dover combattere; il terribile re è d'accordo, ma a patto che il
giovane si sottoponga ad una prova: arare un enorme campo servendosi
di tori indomabili ed uccidere gli uomini armati che crescono dai
denti di serpente precedentemente seminati. Giasone accetta ma si
sente perduto; Era, già preparata ad un rifiuto da parte del re, per
evitare che il suo protetto perisca, chiede aiuto ad Afrodite, in
modo che convinca Eros a scagliare la sua freccia addosso a Medea, la
figlia di Eeta. Il piano va a buon fine ed infatti Medea, appena
scorge il bellissimo Giasone, se ne innamora, facendo di tutto pur di
aiutarlo; proprio grazie ai filtri e agli incantesimi della fanciulla
maga, il capo degli Argonauti riesce a vincere la prova. Sempre
grazie alle arti di Medea, il vello d'oro passa nelle mani dei Greci
ed ella li supplica di portarla via con loro. Il viaggio di ritorno
segue un percorso diverso rispetto a quello di andata e il carattere
di Medea si paleserà sempre meglio...
Apollonio
introduce importanti innovazioni all'interno del suo poema.
Innanzitutto, l'intera opera è pervasa da un forte pessimismo teso a
ridimensionare le capacità dell'uomo. Lo stesso Giasone è incapace
di comandare, è angosciato dal viaggio impostogli dallo zio ed è
totalmente contrario alla guerra, cercando sempre di mediare pur di
non dover utilizzare le armi. Medea, al contrario, si sviluppa a
livello psichico nel corso della narrazione: inizialmente ella è
pudica e tenta di soffocare il nascente amore maledicendo Giasone,
anche se in realtà vuole salvarlo. Appena la sorella le chiede
aiuto, Medea non esita ad utilizzare questa richiesta come pretesto
per intervenire senza mostrare la passione che comincia a divorarla.
Ciò che la spinge poi a scappare dalla Colchide non è solo il
grande sentimento che la tormenta, ma anche la paura del padre e il
senso di colpa per averlo tradito. Medea è capace di orribili
inganni e non esita ad uccidere pur di salvare gli Argonauti e di
sposare Giasone, fatto da lui promesso dopo aver acconsentito a
portata con sé. Ella, inoltre, si rende conto che Giasone non la ama
e che l'unica cosa che per lui conta è il vello che costituisce lo
scopo del suo viaggio; non a caso la giovane arriva a concepire
pensieri violenti e di suicidio pur di smuovere la passività del suo
amato.
Le Argonautiche sono
un esempio di altissima poesia e vi consiglio di leggerlo; oltre alle
numerose avventure, al carattere psicologico dei personaggi e al
pensiero pessimistico dell'autore (che spesso interviene direttamente
nella narrazione), si cerca di dare anche un fondamento storico ai
vari eventi successivi presenti nei miti greci, comprendenti anche i
fatti dell'Iliade e
dell'Odissea che sono
posteriori al viaggio di Argo.
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